L’ombra di Narciso

 

Alita il vento. Fra un fruscio di foglie

Si ridesta la mente, trasalita

lungo il lubrico margine, alle soglie

liquide. Lieve il tocco delle dita.

 

Un fremito l’afferra. A un tratto coglie,

come dal nulla adesso rifiorita,

un’immagine eterea, antiche voglie

dimenticate, al volto della vita.

 

Un tuffo nell’ignoto: nuovo il mare

s’apre all’occhio abbagliato in un sorriso

amico. Profondarsi, naufragare

 

fuori del tempo è un attimo. Ora il viso

si fonde e si confonde. Ricompare,

persa in un sogno, l’ombra di Narciso.

 

 

Non più un prima né un poi: dentro lo specchio un’immagine ride, sconosciuta. Il passo è breve. Confondersi al di là o al di qua della soglia? Dubbio che scivola sui cristalli liquidi, gioco di fascinazione o d’incantesimo. Senso vago d’appartenenza, quello che si prova, di fronte all’essere, in cui non si riflette che ciò che vogliamo. Al tocco delle dita tutto sembra animarsi e ricomincia il viaggio. Dov’è la meta, in noi o fuori di noi? Eppure non si è soli in questo mare. Lo definiscono social, ancoraggio di connessioni virtuali.

Narciso ricompare in questo gorgo muto: immagini su immagini, parole eco di parole a cercare un consenso. Si è già oltre lo specchio, invisibile soglia alle nostre mille solitudini. Il tempo s’annulla nell’attimo infinito. Questo è l’amore, questa è la vita e il niente: questo è vivere solo nell’immagine, nel gesto, nella parola lasciata a commento. Ogni giorno si muore un po’ senza saperlo, senza vederlo, senza capirlo. Galleggiano le ombre sul cristallo luminoso, eppure inerte. È l’essere e l’esserci nel cavo della mano, come il suono nascosto nella conchiglia di quello stesso mare.

Narciso è un’ombra che si perpetua sotto le nostre dita, adesso, mentre vediamo solo ciò che appare oltre lo specchio. In questo sta la radice del fare, della poesia. Sogno o ragione? Linea sottile, labirinto in cui si smarrisce la via, come nel palazzo di Atlante, nel castello di Armida. Tutto è già scritto: senza mito non c’è poesia. Il più è riconoscerlo, risalire e abbandonarcisi.

 

 

© Federico Cinti

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