I baci d’amore

 

Uno dei mirabili Basia di Janus Secundus (1511-1536), notevolissimo poeta olandese del Cinquecento, perlopiù dimenticato o semplicemente ignorato, il quarto Basium per l’esattezza, nella mia traduzione, per altro nemmeno l’unica. Già, perché è parecchio tempo che mi sforzo di darne una resa che possa avvicinarsi in qualche modo alla bellezza dell’originale. Mi sforzo, certo; eppure, ogni volta noto dettagli che nelle precedenti mi erano sfuggiti o non avevo notato. La traduzione è così: il testo non muta, mutiamo noi che lo leggiamo e lo ritraduciamo, riflettendoci ogni volta nello specchio del nostro cuore.

 

 

Non dà baci, dà nettare Neera,

dà all’anima fragranze rugiadose,

nardo, timo, cannella e miele quale

colgono tra i rosai del monte Imetto

o tra quelli dell’Attica le api

e, circondato da virginee cere,

ripongono in cestini dentro il favo.

Se molti me ne dà da consumare,

in essi sarò subito immortale

e al banchetto starò degli dei grandi.

Ma risparmia, risparmia un tale dono,

o con me, Neera, Fa’ che tu sia dea:

non voglio mensa senza te di dei,

nemmeno se dee e dei, cacciato Giove,

mi fanno re dei rutilanti regni.

 

 

 

Penso sia utile riportare pure il testo originale, in faleci, come il modello, Catullo, cui ovviamente Secundus si ispira.

 

 

Non dat basia, dat Neaera nectar,

dat rores animae suaveolentes,

dat nardumque, thymumque, cinnamumque,

et mel, quale iugis legunt Hymetti,

aut in Cecropiis apes rosetis,

atque hinc virgineis et inde ceris

saeptum vimineo tegunt quasillo.

Quae si multa mihi voranda dentur,

immortalis in iis repente fiam,

magnorumque epulis fruar deorum.

Sed tu munere parce, parce tali,

aut mecum dea fac, Neaera, fias:

non mensas sine te volo deorum:

non si me rutilis praeesse regnis,

excluso Iove, di deaequecogant.

 

 

 

Conosco Janus Secundus ormai da anni, da quando cominciai a interessarmi alla letteratura neolatina europea oltre che italiana. Fui cooptato pure per un’antologia sul petrarchismo europeo del XVI secolo, i Lirici europei del Cinquecento (Milano 2004), e inserii anche alcune sue poesie da me tradotte. Non le rileggo più: non mi ci riconosco per nulla. E dire che, all’epoca, ne ero così soddisfatto. Eppure nel tempo siamo arrivati quasi a darci del tu, a chiamarci per nome: tra poeti e traduttori, come tra autori e lettori, spesso finisce così. Non è semplice studio: è ragione di vita. In tal senso ha ragione Orazio a cantare: non omnis moriar (Odi III 6). La poesia, ossia la letteratura, rende eterni.

Il senso del tutto l’ho capito tardi, l’ho capito da solo, non certo al liceo o all’università, quando non si studia per noi, come sostiene giustamente Seneca per cui non vitae, sed scholae discimus (Lettere morali a Lucilio CVI)12. E non è la solita excusatio non petita, no: è ragione di vita la poesia. Per questo carmina non dant panem, eppure la poesia è più essenziale dell’aria che respiriamo, di quel che mangiamo. Anche la traduzione ha la sua autonomia e non solo di significante, ma soprattutto di significato. Intendo dire che questi versi sono miei nella stessa misura degli altri. Altro che la versione esatta che si ricercava al ginnasio, che pure ricordo con disincantata nostalgia.

 

 

© Federico Cinti

Tutti i diritti riservati

11 commenti

  1. Nonna Pitilla ha detto:

    ammirata! non so diri altro! io non sono un traduttore, ma mi diverto spesso a tradurre dall’inglese e dall’arabo per gli amici, ma ad esempio è qualche anno che cerco di tradurre le poesie di Nizar Qabbani e ogni volta che penso di aver finito ricomincio da capo! e tu ti cimenti in cose notevoli e complesse, quindi immagino cosa tu possa provare e il lavoro che ci sta dietro! naturalmente non conosco Janus Secundus , la mia ignoranza è infinita, ma i tuoi versi sono magici! grazie

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Troppo buona, carissima Matilde! Sarà almeno la terza volta che traduco questi versi e tutte le volte, rileggendo le traduzioni precedenti, mi chiedo come ho fatto a tradurre così male… Per me la traduzione è uno specchio: un po’ come dice Dante, quando vede Cristo nella trinità. Caspita, tu traduci dall’arabo… Grazie sempre delle tue parole!

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      1. Nonna Pitilla ha detto:

        credimi tradurre dall’arabo è più semplice che dal latino!! grazie a te

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  2. Rosanna Minei ha detto:

    “Anche la traduzione ha la sua autonomia e non solo di significante, ma soprattutto di significato. Intendo dire che questi versi sono miei nella stessa misura degli altri”.
    Credo che queste tue parole siano di un’importanza straordinaria: il traduttore non ricalca letteralmente il testo, ma lo fa suo, lo rivive, lo trasforma e quindi non lo tradisce, proprio come hai fatto tu. Applausi, applausi e ancora applausi.

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Il compito del traduttore, Rosanna, è in fondo quello di rivivificare un testo lontano nello spazio e nel tempo, perché in fondo sempre la poesia è scritta in una lingua morta, in una lingua altra. eppure, per le lingue classiche, il fatto che esse siano – diciamo pure così – morte le rende immortali. se fossero scritte in parole comuni, le poesie dico, dove sarebbe la loro poeticità? eppure, non dobbiamo ricorrere a un lessico speciale: la poesia è scritta in una forma naturale, perché tale è ogni singolo nostro momento.
      Per il traduttore quindi la sfida è anche più ampia e, come si dice, egli è “artifex additus artifici”. Ogni verso tradotto è vero come quello sgorgato dalla nostra facoltà immaginativa, dalla nostra fantasia. significante e significato si fondono in un testo vecchio e nuovo, estratto dallo scrigno del tempo e proiettato al futuro.
      Questo lo si impara a poco a poco, con la dedizione di chi cura ciò che gli sta più a cuore.
      Grazie della possibilità di potere esplicitare sempre meglio questo sentire.

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  3. Loretta Zoppi ha detto:

    Complimenti Federico, ogni tua poesia è straordinariamente bella.
    Grazie!

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Carissima Loretta, ti ringrazio: scrivere non è solo un modo per esprimere emozioni o sentimenti, ma è la vita stessa che si manifesta. In tal senso non riesco a non dedicarmici. Se trovi del buono in quel che scrivo, significa – un po’ come dice Dante – che “i’ mi son un che quando / Amor mi spira noto e a quel modo / che ditta dentro vo significando”.
      Grazie sempre delle tue parole!

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  4. La poesia è bella, tu sei bravo, e la perfezione non esiste.

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    1. Federico Cinti ha detto:

      In effetti, tutto è perfettibile! Sì, anche a me piace molto questa poesia. Ecco, sul fatto che io sia bravo potremmo anche discutere… Comunque, ti ringrazio moltissimo!

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