Attesa vana il tempo che va via:
rosa un filo sull’ultimo orizzonte,
Bersaglio al cuore, antica nostalgia;
torna azzurro il sereno dietro il monte.
Lenti i ricordi affiorano, pensieri,
ombre d’ombre su fragili sentieri.
Narciso, eterna immagine che muore,
di nuovo si rigenera in un fiore.
Non s’attende passare il tempo: lo si vive o lo si uccide, lo si prende o lo si perde. Starsene sul confine dei mondi è come starsene su quello dei mesi: una vertigine difficile da reggere. O di qua o di là, appesi al filo della decisione. Una scelta è guardarsi indietro o procedere. Nulla è mai dato invano, anche nell’apparente casualità degli avvenimenti. Ci si ferma a riflettere, questo sì, come Narciso dinanzi alle acque del fiume che eternamente scorre, il fiume della vita, le cui acque non sono mai le stesse, come le immagini che troviamo per la prima volta e ritroviamo per sempre. Anche l’identità del fiume esiste solo nella nostra ansia di catalogare l’universalità dell’essere. Tutto scorre nell’infinito vortice del fiume.
Anche attendere è un passaggio, un trascorrere lento dell’ora. Lontano un filo rosa, «cirri di porpora e d’oro» (G. Pascoli, La mia sera, 20), mentre a poco a poco, quasi impercettibilmente, «torna azzurro il sereno» (G. Leopardi, Il sabato del villaggio, 16), una linea d’ombra che scivola tra il cupo in cui tutto si smarrisce. Nulla è più come prima, anche se tutto pare essere rimasto uguale. Ricomponiamo di volta in volta soltanto i pezzi di un mosaico che va in frammenti, ascoltando «in rime sparse il suono» (Rvf I 1) la voce della nostra antica coscienza.
Restano forse gli «esuli pensieri» (G. Carducci, San Martino, 15) su quel confine «tra le rossastre nubi» (G. Carducci, San Martino, 13) a consolarci dell’eterno trascorrere del tempo, dopo che il sole obliquo ha percorso nuovamente il suo tragitto. Transito, null’altro che un transito, all’esterno e all’interno di noi. Ricordi di ciò che fu, di ciò che forse sarà, come in un altro quadro Di fine agosto, tesoro senza fine dentro il cuore. Era un giorno così, come questo, eppure così malinconico già allora. Lo vissi e lo rivissi, fino a trattenerne il pulviscolo dorato dentro l’anima, come se eternamente scendesse «tra gli olmi il sole / in fasce polverose» (G. Pascoli, Patria, 7-8).
Narciso di nuovo e per sempre attende, nella fissità della nostra fantasia, sull’argine del fiume, di trasformarsi nuovamente in fiore, nella sua vera essenza di bellezza pura e algida. Di qua e di là dal quadro due verità si specchiano e si rispecchiano, l’una più autentica dell’altra. Il tempo non finisce e non comincia in questo ciclo di corsi e di ricorsi, dalla creazione al finale giudizio. Coglierne i progressi e i ritorni diventa esercizio di alta speculazione ermeneutica cui non ci si può sottrarre ingenuamente. Eppure, il tempo corre e noi con lui.
© Federico Cinti
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i rimandi alla letteratura sono dei flash che lasciano senza fiato da tanto che sono belli. Quadretti preziosi… come è bello quel Narciso colto nell’atto di specchiarsi. Magnifico.
A presto amico mio…
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Mi fanno molto piacere le tue parole! Del resto, non si è fiori del deserto, ma nani sulle spalle di giganti. La letteratura è poi un gioco di specchi, allusioni, rimandi, accenni.
Non dovrei, forse, ma ti svelo un altro piccolo segreto: il testo è una sciarada che contiene il nome di un mio studente cui sarebbe idealmente dedicato per il compleanno.
Buona giornata a te, carissima Alidada!
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sei fantastico! C’è tanto da imparare
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Provo solo a restituire quello che a mia volta mi è stato donato. Chissà, forse è questo il senso recondito del dialogo.
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