A poco a poco fu alito nel vento,
nell’anima crepuscolo di rosa,
orma di sole, lieve smarrimento.
Non più l’ansia del tempo. Tutto posa
nell’infinito placido del mare,
adesso, tenue essenza luminosa.
Esile vanità, trasumanare
lento nel cuore, l’ultimo sentiero,
eterno ritrovarsi, ritrovare
silente l’ineffabile Mistero.
avrei voluto esserci, avrei dovuto. Vicini in queste circostanze non si è mai abbastanza. Avrei dovuto essere, dico, accanto all’amico Ingegnere. Anche la presenza, magari silenziosa, ha il suo senso. All’ultimo saluto della nonna ci avrei anche tenuto. Erano anni, ormai, che non ci si vedeva. L’ultima volta è stato qualche anno fa, per Natale o al famoso the delle Befane. Liturgie particolari, queste, cui si sente di non doversi sottrarre per alcuna ragione al mondo. Eppure, a poco a poco, il lento inesorabile declino. Lo si avverte all’inizio come una sorta di strappo alla regola; poi, come sempre, come a tutto, ci si fa piano piano l’abitudine e anche questo torna a essere rito. La seggiola resta vuota, riempita maldestramente da qualcun altro. Infine, la notizia, il racconto, le braccia che s’allargano.
Avrei dovuto esserci. L’Ingegnere mi perdonerà. Ne avevamo parlato lungamente, nei giorni addietro. Parlarne serve pure a esorcizzare l’evento in sé, allontanarlo a data da destinarsi, quasi sine die. E poi, tutto a un tratto, ci si riscuote, come da un torpore. Lo si sapeva, sì, si conosceva la fine della storia e già ci se la raccontava. Eppure, finché non ci si arriva, si continua a navigare a vista prima di giungere al porto sicuro. È un fioco lume quello che si scorge di lontano, una blanda speranza che continua a brillare nel fondo dell’anima.
Ne avevamo parlato, ma l’ineluttabilità del momento era una linea ancora da varcare. Poi il silenzio, quello vero, quello freddo. Una presenza costante che per sempre si allontana. Fisicamente, certo; ma pur sempre un distacco forte. Si è ricevuto tanto, anche se alle volte non sembra abbastanza. Mi ha raccontato serenamente tutto, ma qualcosa non era più come prima. Una nota diversa s’avvertiva. Io almeno l’avvertivo. Per questo, ecco, non per altro forse, avrei dovuto esserci, anche senza proferire verbo di sorta.
Nulla di nuovo, convengo: ci si passa tutti. Ognuno a suo modo, però, nella propria solitudine. Esperienza comune, non si discute, ma mai esattamente identica. Ci si sforza di razionalizzare per sembrare forti, davanti agli altri innanzi tutto o forse solo davanti a se stessi. Chissà. Non ci si arriva mai del tutto preparati. È un’ansia che si scioglie, tutto qui. Sarebbe quasi inutile parlarne, se non fosse che è tanto, tanto consolatorio. E poi non si vuole fare torto a nessuno. So bene che è un modo per liberarsi da un peso, quasi un’angoscia.
Avrei dovuto, ecco, ma provo a esserci in qualche modo lo stesso, come posso, dal mio cantuccio. Il bene ricevuto non si scorda.
© Federico Cinti
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bellissimo pensiero, l’ingegnere lo sentirà lo stesso e sorriderà, ovunque lui si trovi.
Belle immagini…
Buonanotte amico mio 🙂
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Sì, hai detto benissimo: l’Ingegnere, infatti, ha apprezzato. Un penseiro sul transito della nonna, non la fine, un passaggio, un ricordo che permane e resiste, finché qualcuno terrà in sé quella tracia, quell’orma di sole, che è pure la voce della poesia.
Grazie ancora e un abbraccione…
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abbraccio ricambiato 🙂
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Sempre gentilissima!
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