Inno a san Matteo Apostolo ed Evangelista

Eri un giusto tra gli ultimi,

Matteo; ti rese Apostolo

Gesù, dicendo: «Seguimi!»,

e lo seguisti subito.

Accogliesti il suo annuncio

con umile fiducia

e abbandonasti il tavolo

d’esattore a Cafarnao.

Fosti lo scriba autentico

del regno che, per scrivere,

prendesti dalle pagine

cose nuove e antichissime.

Tu raccontasti l’unica

salvezza al mondo naufrago,

Gesù, Figlio Unigenito

del Padre nella gloria.

Ispirò il Santo Spirito

il tuo Vangelo, autentica

testimonianza fervida

dell’amore salvifico.

Vedesti Gesù ascendere

in cielo tra le nuvole

insieme coi discepoli

nei pressi di Betania.

Portasti il lieto annuncio

dovunque, a tutti i popoli,

nel nome dell’Altissimo,

del Figlio e dello Spirito.

Santo Apostolo e martire,

Evangelista nobile,

con te fa’ che nei secoli

a Cristo diamo gloria.

Amen.

Nel giorno della memoria liturgica dell’Apostolo ed Evangelista Matteo, il 21 settembre appunto, propongo l’inno che ho scritto per cantarne le virtù eroiche, anche perché ne mancava uno ad hoc. O, per dirla tutta, c’era pure, ma in latino, e di nuova composizione, naturalmente sempre in dimetri giambici, come da tradizione. Questo il motivo per cui io ho scelto il settenario sdrucciolo, onde ricalcarne il ritmo nella lettura grammaticale e poter sovrapporre il testo italiano al modulo con cui si canta in gregoriano. Va da sé che il mio non è completamente avulso dall’originale latino, anche perché una traduzione vera e propria è impossibile. Sarebbe più corretto dire una trasposizione o una versione. Ma il dibattito sulla resa, tradere an vertere, per usare un dilemma antico come le parole usate per esporlo, resta un problema insolubile ed è, mea sententia, il suo fascino.

Di seguito riporto l’originale latino:

Praeclára qua tu glória,

Levi beáte, cíngeris,

laus est Dei cleméntiae,

spes nostra ad indulgéntiam.

Telóneo quando ássidens

nummis inhæres ánxius,

Matthaee, Christus ádvocans

opes tibi quas praeparat!

Iam cordis ardens ímpetu

curris, Magístrum súscipis,

sermóne factus ínclito

princeps in urbe caelica.

Tu verba vitæ cólligens

Davídque facta Fílii,

per scripta linquis áurea

caeléste mundo pábulum.

Christum per orbem núntians

conféssus atque sánguine,

dilectiónis vívidæ

suprémo honóras pígnore.

O martyr atque apóstole,

evangelísta nóbilis,

tecum fac omne in saeculum

Christo canámus glóriam.

Amen.

A rileggere questi due inni l’uno dopo l’altro, lo ammetto con umile orgoglio, non mi pare venuto male il mio. Insomma, ne sono soddisfatto: questo intendevo dire. Poi, si sa, il giorno odierno passerà, magari senza che alcuno si ponga il problema di un testo da cantare. Mala tempora currunt, nostraheu tempora! Diciamo pure così, stringendoci nelle spalle, come i personaggi di Pirandello.  

© Federico Cinti

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