Rimane di quel tempo
l’eco di un’eco. Sulla soglia il canto,
dall’antica finestra
il giallo profumato di ginestra
in cui scorgevi il volto del poeta.
Eri quel fiore, incanto
sotto il cielo sereno, eri la vita
in attesa del giorno della festa.
Eri quello che resta, adesso, sulla via,
l’orma della poesia,
sorriso, vano sogno
nell’iride sincera
a inseguire quell’ultima speranza,
eri la primavera
in cui tutto rivive, rimembranza
a cui volgersi indietro,
in un’aria di vetro, a contemplare
per sempre il limitare
nei tuoi occhi ridenti e fuggitivi.
Altro non seppi, null’altro trovai,
Silvia, mentre salivi.
Era il «verone del paterno ostello» (G. Leopardi, a Silvia 19) l’invisibile soglia che separava la voce di Silvia e l’occhio che varcava l’angusto limite degli «studi leggiadri» e delle «sudate carte» (A Silvia, 15-16), ben al di là «di quel lontano mar, quei monti azzurri» (G. Leopardi, Le ricordanze, 21). Tutto già fu, tutto sarà di nuovo, tutto è sempre come la prima volta. Per questo ancora Orfeo ricerca oltre la linea indicibile la sua Euridice cantare nella memoria di un tempo inafferrabile. È il mistero che lega amore e morte, vita e sogno, luce e ombra. Perché Silvia, in fondo, è solo voce, come Eco, «quella vaga / ch’amor consunse come sol vapori» (Par. XII 14-115), è solo canto, «perpetuo canto» (A Silvia, 9) immerso ormai nei «sovrumani / silenzi» (G. Leopardi, L’infinito, 6-7) della rimembranza.
Ecco, allora, la ricordanza e la speranza, da una parte e dall’altra del confine, immagini riflesse nello specchio che si inseguono e ritornano eternamente. Ecco, allora, la poesia, morta nell’Ultimo canto di Saffo, quando già «il prode ingegno / han la tenaria diva, / e l’atra notte, e la silente riva» (G. Leopardi, Ultimo canto di Saffo, 70-72), e riemersa nella «canzoncina» delle mummie di Federico Ruysch. Voce risorta dall’aldilà che risuona in eterno per le «quiete / stanze, e le vie dintorno» (G. Leopardi, A Silvia, 7-8) e rimasta tenacemente aggrappata alla vita nel giallo odoroso della Ginestra o il fiore del deserto.
Pensavo più o meno a questo, ieri, mentre dialogavo con un mio studente, per ironia della sorte anch’egli di nome Giacomo, sulla poesia leopardiana. E negli «occhi ridenti e fuggitivi» (G. Leopardi, A Silvia, 4) ci ho rivisto l’iridi sincere» della signorina Felicita (G. Gozzano, La signorina Felicita ovvero la felicità, III 11), ci ho rivisto il viso senza nome di Annetta (o Arletta) e «lo sciame dei suoi pensieri» (E. Montale, La casa dei doganieri, 4). Nulla di nuovo, certo; eppure, Silvia è la poesia che travalica i secoli, è la ginestra del color di croco, come il girasole e i limoni. E dire che già Silvia era un’eco tassiana, assieme alla Nerina delle Ricordanze. È per questo che «il filo s’addipana» e non si sa «chi va e chi resta» (E. Montale, La casa dei doganieri, 11 e 22).
Pensavo questo ieri, che era sabato, giorno dell’attesa per eccellenza, anche in un’epoca in cui è difficile trovare il punto di rottura della ininterrotta connessione. Chissà se tutto è poi rappresentazione o si scoprirà anche a noi, «andando in un’aria di vetro» (E. Montale, Forse un mattino andando in un’aria di vetro, 1), il senso vero delle cose, quello che chiamano significato. Accontentiamoci intanto del significante, della poesia che non può morire anche in un mondo prosastico come quello attuale. È davvero il deserto in cui una voce chiama tra l’infinito e il tutto. Nel poeta è il profeta, vilipeso e sbeffeggiato, come il famoso albatros, re delle nubi, principe dell’azzurro, di baudelairiana memoria. Eppure, in quella solitudine desertica una strada è stata aperta.
© Federico Cinti
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Questa la ricordo, tristissima.
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In effetti, la storia in sé è molto triste. Tuttavia, posso dirti, allegro, che il modo in cui il poeta rievoca questa figura femminile fa attaccare ancora di più alla vita, la fa amare maggiormente, a dire in fondo che Leopardi ama la vita.
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A me sembrava che avesse molti rimpianti se non ricordo male.
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Ricordi benissimo! Sai cos’è? Leopardi era arrabbiato nero (ci sarebbe stata un’altra parola al posto di ‘arrabbiato’, ma sai com’è la decenza) con la natura che aveva creato all’infelicità l’uomo e non se ne capacita. La vita è in sé così bella, eppure così atroce. Ecco, in Silvia c’è tutto questo.
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Ed era così intelligente da capirlo perfettamente.
A volte essere pirla aiuta.
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Verissimo: alle volte non accorgersi di nulla è la miglior medicina. Ma, come dici giustamente tu, era troppo intelligente per passarci semplicemente su.
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Un capolavoro
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Ti ringrazio di cuore, carissima Paola! Non ti nego che Leopardi sia poeta che amo molto, pur nelle differenze di pensiero.
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Si capisco
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Per me è veramente un gigante: fa amare la vita e la poesia come difficilmente altri sanno fare. Questa Silvia ne è un esempio.
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Questa poesia trasporta lontano. Amo G. Leopardi.
Ciao Federico 🙂
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Sono molto lieto che ti piacciano i miei versi e ti ringrazio delle tue parole. Certo, Leopardi è un vero titano: come non lo si può non apprezzare o amare? IN questi giorni in cui mi ci sono immerso per l’ennesima volta, ho sentito proprio la sua forza e la sua grandezza.
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Vero Federico. Davvero un grande. Nella sua casa a Recanati, nella sala biblioteca ho visto i suoi quaderni con su i suoi scritti…
Emozione
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Anch’io rimasi molto impressionato quando, molti anni fa, andai a Recanati, a Palazzo Leopardi: sembrava che fosse ancora lì. Poi, tra quei libri, tra le sue cose, e affacciarsi alla finestra sulla piazzetta del sabato del villaggio. Insomma, indimenticabile. Lo si porta dentro: non c’è che dire.
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Federico. sei una continua sorpresa! E bella soprattutto! Leopardi lo amo da sempre, e la dolcissima ” A Silvia” l’ho consumata dalle volte che l’ho letta e recitata ( ma per me, solo per me ) Ero una bambina quando i miei genitori mi dissero che mi sarebbe arrivata una sorellina ( siamo tre sorelle e l’idea di un maschio non ha mai attraversato la mente a nessuno ) quindi potevo aiutarli a scegliere il nome. Ovviamente proposi Silvia- Nome che fu accolto con vero entusiasmo.
Ma come si suol dire, l’uomo propone e Dio dispone. La nascita di mia sorella fu tragica ,rischiò di morire con mia madre . Fu subito battezzata , babbo non si ricordò che doveva chiamrsi Silvia, così le fu messo il nome della dottoressa che l’aveva fatta nascere.
Ma Silvia non l’ho mai dimenticata e proprio ieri, in una giornata di pioggia e vento, mi sono riletta le poesie del Leopardi e di Montale.
E stasera come sorpresa, trovo il tuo post sulla Silvia leopardiana, e molti riferimenti a Montale..
Ecco, non potevo chiedere di più per chiudere questa lunga giornata!!!! 🙂
Grazie Federico per le emozioni che mi hai trasmesso!!!! 🙂
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Sono molto lieto che questi miei versi ti abbiano toccato il cuore! In questi giorni di dialoghi con i miei studenti proprio su Leopardi, non ho potuto fare a meno di fermarmi anch’io, d’interrogare i testi e di scrivere. Chissà se Silvia si è mai accorta che il figlio del conte Monaldo l’ascoltava cantare, ne cercava di nascosto il sorriso e magari ne seguiva la mobile bellezza degli occhi? Amo pensare che sia andata proprio così, che ci fu un tempo in cui «le molceva il core / la dolce lode or delle negre chiome, / or degli sguardi innamorati e schivi; / e con lei le compagne ai dì festivi / ragionavan d’amore» () (vv. 45-59). Era i tempo di maggio, quel maggio odoroso che ci fa tanto piacere ritrovare dopo l’inverno. Chissà, è profprio il profumo della poesia che non perisce, che ci indica il vero.
Eh, quanto si è ispirato Montale a Leopardi, oltre naturalmente a Carducci Pascoli e d’Annunzio. In annetta (o Arletta) c’è Silvia, secondo me, anche se «Silvia rimembra», mentre Annetta (Arletta) no, perché «tu non ricordi».
E la signorina Felicita? e la tessitrice pascoliana? anche di lei avrei voluto dire, in quel sogno fuori del tempo e dello spazio, in cui il poeta dice: «Mi son seduto sulla panchetta, / come una volta, quanti anni fa? / Ella come una volta si è stretta / sulla panchetta». Perché, vedi? Anche silvia tesseva, come Penelope, che attendeva il marito, l’eroe navigatore.
E qui mi fermo, perché non vorrei annoiarti. MI pare molto più interessante la tua storia, della tua sorella quasi Silvia!
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Annoiarmi??? Ho letto e riletto questa bellissima risposta, ed ogni volta che arrivo in fondo, ricomincio daccapo ! Non avrei mai pensato ad un Montale che attinge dalle poesie del Leopardi, questo mi ha veramente stupito. Rileggerò i suoi versi con un occhio diverso. Grazie per queste interessanti tracce che mi hai dato, e non sono le sole!!! Avrò molto da leggere in questi giorni. Grazie di cuore Federico!!!!
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Ma grazie a te, carissima! Più leggo e più trovo spunti e connessioni, quasi io mi trovassi in una stanza con molti specchi. Mi piace pensare alle donne dei poeti, vere o immaginarie non importa: l’amore passa necessariamente attraverso una fase di idealizzazione. E del resto i poeti non sono certo fiori del deserto: nutrono i loro fiori della linfa della tradizione. E poi c’è il lettore che vede e sente con occhio e orecchio proprio quegli echi e quei riflessi. Non so: ‘legere’ significa veramente ‘cogliere’. Se è vero che tutto è stato detto, i poeti lo hanno detto in un modo tutto loro e sempre diverso. E anche noi, ogni volta che leggiamo, lo facciamo con animo differente, al punto che non è possibile immergersi due volte nello stesso testo, per parafrasare Eraclito. A me, almeno, pare così. E sono contento di poter condividere con te e con chi ha la pazienza di leggermi quel poco che, di tanto in tanto, riesco a tirar fuori dalla mia tastiera.
Grazie e buona notte!
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🙂 🙂 🙂
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Eppure, non so se io abbia terminato di scrivere a Silvia e di Silvia. Ogni tanto è come se io sentissi una voce che chiama, che mi chiama. E ovviamente non solo da Recanati. so che è un discorso lungo, ma prima o poi lo affronterò.
Ancora grazie della possibilità che mi dai di esprimere quel magma che è la memoria e la letteratura.
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Grazie
E’ molto bello ri – leggere questa poesia
attraverso le tue parole, dove trovo maestria, delicatezza, rispetto
I tuoi studenti sono fortunati
Monica
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Carissima Monica,
è solo ultimamente che ho cominciato a pensare che, tra i tanti significati che questa poesia leopardiana potrebbe avere, ci potrebbe essere che il «perpetuo canto» sia la poesia stessa che continua, nonostante tutto, a resistere. In tal modo, Silvia diviene lo specchio in cui Giacomo si ritrova, con cui può continuare la sua battaglia contro la «Natura», acerrima nemica – per lui – dell’uomo e di tutti gli esseri, animati e inanimati. Non so, ho seguito il titolo della raccolta e l’odore così delicato, ma persistente, della «ginestra», il «fiore del deserto». spero di non aver traumatizzato troppo i miei studenti. Una in effetti mi ha detto che ha trovato Leopardi un po’ difficile, ma non credo ce l’avesse con me.
Ti ringrazio di queste tue parole che mi permettono, nonostante tutto, di approfondire e di riconsiderare sempre sotto una luce nuova ciò che è di per sé attualissimo.
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Continuo a pensare che gli studenti in questione siano fortunati per l’opportunità che dai loro di andare al di là di quella che potrebbe solo essere considerata un’ode alla donna amata.
… che il «perpetuo canto» sia la poesia stessa che continua, nonostante tutto, a resistere. In tal modo, Silvia diviene lo specchio in cui Giacomo si ritrova, con cui può continuare la sua battaglia contro la «Natura», acerrima nemica – per lui – dell’uomo e di tutti gli esseri, animati e inanimati. …
quest’intuizione trovo sia illuminante e sicuramente merita di essere condivisa.
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La poesia leopardiana resiste e non solo per quella passione che il grande Recanatese infondeva nei suoi versi, ma soprattutto perché la sua poesia sapeva di vita, era la vita stessa che pretendeva – diciamo pure così – di resistere ai secoli. Questa forza fa sì che egli stia attacato alla vita più di tanti altri.
Mi stupisco sempre, ogni volta; non riesco a rimanere indiferente a certe questioni ed è forse questo che a lezione si trasmette. Altrimenti, la scuola è veramente quella che tutti noi ci ricordiamo da sempre.
Chissà se sono fortunati davvero ad ascoltare i miei soliloqui! A ogni modo, ti ringrazio infinitamente delle tue parole: aiutano a corroborare una certa prassi.
Mi rendo conto che, come nel tempo cambio io, così pure i ragazzi cambiano, semplicemente crescono. e io con loro.
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