A Maurizio il 10 dicembre

 

Muto il portico gelido di marmo

addobbato di festa,

una vetrina dopo l’altra. Resta

recondito un pensiero

indicibile, vivido un ricordo.

Zampilla un filo pallido di sole

in lontananza, il riso

opaco di quell’ultimo sorriso.

 

Mesta la via nell’ora

attardata nel giorno

nuovo nel tempo senza più ritorno.

Tutto fugge così, perso in un punto

evanescente al vertice in cui l’occhio

crede alla convergenza parallela.

Così fu. Sarà ancora.

Ha il tempo il rito dietro cui si vela

il senso. Un’illusione

non già. La vita giace

in quest’attimo fragile di pace.

 

 

Che vuoi mai, Ingegnere? S’annulla il tempo. Questo lo si impara a proprie spese e non perché non si voglia credere agli altri. A me è capitato così, almeno. Il tempo non è gratis per nessuno. Si prova a far finta di nulla: è umano, troppo umano. Poi, naturalmente, il pensiero ritorna sempre «colà dove la via / e dove il tanto affaticar fu volto» (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 33-34), al tarlo che ci scava e ci divora. Ricordi, tutto qui, oggi soprattutto che siamo anestetizzati dalle memorie artificiali per non essere più padroni del nostro passato e del nostro futuro. Tutto si condensa nell’evanescenza rapida di un’immagine virtuale. Il reale è fuggitivo, come la vita che lo abbraccia. Ciò che è mio è con me: lo confessava candidamente Stilpone di Megara a Demetrio Poliorcete. Non c’è bisogno che io ti richiami alla mente il De constantia sapientis (V, 6 in particolare) di Seneca.

In un giorno come questo, di nebbia o poco più, resta solo la certezza di ciò che materialmente non si possiede più. Forse non è nemmeno così poco, a rifletterci bene. Mi rivedo, ormai non so più nemmeno quanti anni fa, sotto il pergolato della casa alla Venturina a discettare con te e con Maurizio dei massimi sistemi, una calda domenica di fine agosto. Ci si era tutti. Che strano effetto mi fanno, adesso, quel tepore e quel sapore, languidi come tutto ciò che si sa di avere avuto e di non avere più. E la sua voce acuta, sì, quella voce tutta particolare, soprattutto al telefono. «Prontoooo!». Non è solo per ridere che ce la si ripeteva e gliela si ripeteva. Oggi sa di dolcezza malinconica, come la cupa fine d’autunno, dal «tedio che dura infinito» (G. Carducci, Alla stazione in una mattina d’autunno, 60). Ma non è la noia «in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani» (G. Leopardi, Pensieri, LXVIII).

 

 

 

Anche al tè delle befane si metteva sempre di fronte a me, dal lato corto del tavolo ovale, tra il pianoforte e il presepe. Era là, a tenere banco, tra gli amici di una vita. ora la sua seggiola è vuota, come purtroppo tante altre. Solo il ricordo non muore mai, Ingegnere. La poesia ce lo rammenta da sempre: pulvis et umbra sumus (Orazio, carm. IV, 7, 16). Farsene una ragione è quasi impossibile, almeno per me. Il filo di sole che, a un tratto, s’apre tra le nuvole, ecco, questo sì mi dà speranza che questa condizione non sia vana, ma segno di qualche cosa di più grande. Non è retaggio antico, consegnataci da chissà chi e per chissà che motivo. Lo si impara, anche questo, a goccia a goccia, a volte per intuizione diretta.

Eppure, Ingegnere, non voglio annoiarti. Forse già l’ho fatto, ma la scrittura è così: o la si ama o la si schiva. Il domani già bussa alla porta. Fermarsi a pensare è pericoloso, nel logorio del silenzio interiore, mentre tutto all’esterno sembra indifferente. Potrebbe pure esserlo, se non ne facessimo parte. Oggi sarebbe uno di quei giorni da cancellare o da saltare. Invece, ci si sente buttati là, «come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata» (G. Ungaretti, Natale, 9-13). Per sorridere un po’, come ogni tanto si fa, ripensiamo ancora alla domanda fatidica di Maurizio: «Ma che fine hanno fatto i farisei?». Me la ripetesti, in casa di Elena, precisamente nella cucina. Il tuo tono era perplesso. C’era pure l’amico tanto strano con noi, quell’amico che poi si è perso e non abbiamo capito nemmeno perché. Eppure, quella domanda così bizzarra adesso non mi pare più così particolare. È un pezzo del mosaico che è andato in frantumi il 10 dicembre dell’anno scorso e che faticosamente, diciamolo pure, si tenta di ricostruire, tassello dopo tassello, per farne parte di noi.

 

 

 

© Federico Cinti

Tutti i diritti riservati

12 commenti

  1. vittynablog ha detto:

    I miei commenti Federico, finiranno con l’annoiarti perchè sono sempre entusiasti e pieni di ammirazione per quello che scrivi e come lo scrivi!!! Vorrei avere la tua capacità di espressione per sorprenderti ma purtroppo non sono niente di speciale con la scrittura! Certo che questo tuo amico, Ingegnere , l’hai ricordato benissimo, hai usato espressioni molto belle nella poesia che gli hai dedicato. Mi ha colpito molto la frase finale:

    ” La vita giace

    in quest’attimo fragile di pace.”

    Forse in questa parole c’è tutto il mistero della vita e della morte. E vista così, fa davvero meno paura.

    Quando hai rammentato i momenti vissuti a Venturina, ho sgranato gli occhi. Perchè devi sapere che a Venturina ci abitano dei nostri parenti. Hanno una casa tipica di campagna con tanto di pergolato dove d’estate era bello poter pranzare. Mia sorella più grande va al mare a San Vincenzo che è sulla strada. E noi quasi tutti gli anni andiamo a Suvereto alle feste Medioevali. Quindi mi sembra di avere molti punti in comune. E questo mi fa molto piacere!!!!

    E che dire delle bellissime citazioni poetiche! Una sana boccata di ossigeno ritrovare gli autori che tanto si ama!

    Grazie ancora Federico, leggerti mi fa fare quasi pace con una parte della mia vita che ancora non mi è andata giù!!! Buon fine settimana! 🙂

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Sono molto lieto, carissima, delle tue parole, perché mi permettono sempre di approfondire ciò che resta in ombra nella scrittura a caldo. I vari momenti si susseguono e, alle volte, si rischia di tenere qualche cosa nella tastiera. Un tempo si sarebbe detto che era rimasto nella penna, ma cerchiamo anche noi di evolverci. Tutto si evolve, tutto è in continuo movimento e metamorfosi: come dice il buon Eraclito, «non ci si bagna due volte nello stesso fiume» e non solo perché cambia il fiume, bensì perché muta chi ci si bagna. Ecco, paradossalmente, il fiume può restare anche sempre uguale nella sua fissità. se quel corso d’acqua è la realtà, siamo noi che mutiamo e lo troviamo diverso, come le strade nel tempo che precede il Natale, i giorni che stiamo vivendo adesso per intenderci, che possono diventare qualche cosa di lontano e artificiale, se il nostro cuore è altrove. Così è capitato per Maurizio, il papà del mio amico Ingegnere (ormai lo chiamo così da un quarto di secolo e, devo dire, ci si è pure abituato con un certo agio a quest’epiteto). Insomma, l’anno scorso, quando è mancato, non ero riuscito a scrivere nulla. Non so perché. gli stati d’animo sono difficili da analizzare. Ma ieri l’Ingegnere mi ha ricordato l’anniversario e non sono riuscito a trattenermi. Ho messo pure alcune immagini di Porta san Felice, dove abitava Maurizio, a Bologna (anche il mio amico nonché figlio non abita molto lontano), la foto della loro parrocchia, santa Maria delle Grazie. E poi tutti i ricordi, anche divertenti, i discorsi, i luoghi (ma pensa tu, in verità, quanto siamo vicini! Prima o poi avremo modo di conoscerci e non solo virtualmente…).
      Ecco, così ho parlato di Maurizio. La poesia mi pare la infa che dà sostanza al tutto. Non riesco a farne a meno. Chissà, forse pure per deformazione professionale, anche se preferirei fuggire ogni tanto dalla gabbia scolastica. Eppure, quando sto con i miei studenti, il tempo non esiste: è uno scambio, un’osmosi. Siamo diversissimi, intendiamoci, ma qualche cosa ci unisce e quella cosa è la passione per la letteratura. Perché la letteratura o è vita o non è nulla. E così la scuola: o sa di vita oppure è inutile esercizio di stile.
      Anch’io non voglio annoiarti con le mie divagazioni sul nulla, anche se è vero che, se non si perde tempo, non si arriva da nessuna parte. Pensa che i Romani lo chiamavano «otium» e i Greci «schola»!
      Mi fa piacere parlare con te e te ne sono molto grato.

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      1. vittynablog ha detto:

        Grazie Federico per le tue gentili parole! Mi scuso per il ritardo nel risponderti, ma i fine settimana sono spesso impegnativi per me . In quanto arrivano degli amici fraterni che ovviamente non posso trascurare!

        Hai perfettamente ragione nel dire che ” La poesia è la linfa che da’ sostanza al tutto” Quanto è vero Federico!!!! Quanto ci aiuta ricordare dei versi nei nostri vari stati d’animo! Nobilitano addirittura semplici giornate che altrimenti trascorrerebbero quasi senza senso. Sono molto fortunati i tuoi alunni ad avere un professore innamorato della letteratura come te.

        Mio figlio, quando fu il momento di scegliere i corsi di studio dopo le medie, scelse l’informatica. Ha sempre amato la matematica e l’informatica rappresentava il futuro. Ebbene dopo il biennio, cambiarono alcuni professori fra cui quello di Lettere. Questo professore, riuscì ad incamtarlo su quella materia fino al punto da farlo ammettere di aver sbagliato nella scelta della scuola. Avrebbe voluto e dovuto fare studi classici. Ovviamente non poteva buttare al vento gli studi già fatti, ed è diventato un bravo informatico, ma con la passione della letteratura.

        Questo per dire quanto la tua impronta resterà nei ragazzi che stai seguendo.

        Questo mi fa ben sperare nel futuro!

        Ciao Federico, a presto rileggerti!!!! 🙂

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      2. Federico Cinti ha detto:

        Carissima,
        allora mi auguro veramente di lasciare qualche cosa, se non altro la passione, ai miei poveri studenti che devono sopportarmi! del resto, anche io scopro con loro di volta in volta tanti tesori di cui non mi ero accorto. Ha ragione il buon Seneca a dire: «homines dum docent discunt» (‘gli uomini mentre insegnano imparano’). Dai miei studenti ricevo molto di più di quel poco che sono in grado di dare e, tutto sommato, vado a scuola per imparare. E la letteratura dà tanto in termini umani e di conoscenza del mondo. Me ne rendo sempre più conto. Il tempo non passa invano. Ed è questo «sentimento del tempo», per dirla con Ungaretti, che ci aiuta dare il giusto valore a ciò che veramente è importante. E, credimi, a me non piace insegnare: non ci sarei mai voluto finire a scuola e, se potessi, mi ritirerei a vita privata a leggere, scrivere e studiare. Eppure, sono vocato ad altro.
        Il bisogno di avere uno spazio tutto mio in cui poter comunicare con gli altri è, tuttavia, fondamentale. Questo piccolo blog è una finestra aperta, utile anche a ricevere e a dialogare con gli amici che hanno le mie stesse passioni. del resto, siamo o non siamo tutti in viaggio?
        Sono molto contento di lasciare una piccola traccia e di sapere che questo passaggio non è invano.
        Ciao e a prestissimo leggerci!

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  2. almerighi ha detto:

    te la rubo per il Domenicale del 19 dicembre

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Ti ringrazio veramente di cuore: sai che per me è un onore immenso!
      Buona domenica e a prestissimo!

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      1. almerighi ha detto:

        alla prossima, ciao

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  3. Laura Chiarina ha detto:

    Scrittura densa, profondissima. Grazie inoltre, per il corredo di citazioni. Una vera Lectio.

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Troppo generosa, carissima Laurachiarina! sono lieto, tuttavia, che ti abbia lasciato qualche cosa la lettura e dei versi e della prosa. Ti ringrazio di cuore…

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