Fuoco perpetuo d’amore – Amoris ignis perpetuus (Sambucus XL)

 

Guarda la torcia: di qua lenta consuma al suo fuoco,

di là in una fiammata rapida si dissolve.

Vede l’amante l’amata dolcissima e triste si strugge;

è colto, pure assente, da piaga insanabile.

 

 

Niente di eccezionale, convengo; ma, davanti agli emblemata, io non riesco a non fermarmi, almeno un attimo. Li leggo, li rileggo, mi ci specchio. Non mi so sottrarre al certame e gareggio, mi provo pure io. Togliere la polvere ai secoli è un attimo. Qualcuno mi direbbe, forse con qualche ragione, quieta non movere. Eppure, non ne posso fare a meno, soprattutto oggi che tutto si riduce a una forma nuova di trasfigurazione emblematica: titolo, immagine, didascalia. Semplice, no? Intuizione geniale di Andrea Alciato, più giurista che poeta, almeno nella sua vita. quando leggo questa produzione apparentemente così lontana da noi, mi viene sempre da chiedermi se nasca prima l’occasione o la poesia. la risposta è insita nella domanda, è chiaro; ma quanto più è breve il testo tanto più si fa legittima. Ci pensavo a proposito di Marziale e dei suoi quindici libri di epigrammi. E dire che mi avevano anche chiesto di tradurlo. All’epoca non ne sarei stato capace. Adesso? Chissà, adesso mi potrebbe pure venire l’uzzolo di cimentarmici.

Eppure, di che cosa si deve parlare se non dell’amore? Qui è rappresentato da una torcia, una fiaccola che arde perpetuamente, come dice il titulus. Si consuma interamente da una parte e dall’altra è un fuoco inestinguibile. Tutto nasce dal verso petrarchesco «che da lunge mi struggo et da presso ardo» (Rvf CXCV 14), come ricorda il commento a corredo del quarantesimo Emblema di Sambucus, Amoris ignis perpetuus. Nello stesso commento ci si rifà anche alla passione amorosa di Saffo per Attide, la giovane appartenente al tiaso gestito dalla decima Musa, e a Didone, la pulcherrima per eccellenza, che caeco carpitur igni (Aen. IV 60).

 

 

 

Era il mio mondo e lo capii al meglio proprio quando mi fu chiesto di collaborare a un’antologia sulla poesia petrarchista del Cinquecento. Una vita fa, lo ammetto. Io stesso ero ben altro da quel che sono, anche se non sarei mai ciò che sono diventato senza quel percorso così strano cui mi hanno condotto i miei interessi, scoperti un po’ per gioco e un po’ per caso. In quell’antologia famosa, Lirici europei del Cinquecento (Milano, Rizzoli,) 2004) mi immersi completamente in quel mondo e ne uscii diverso. C’era un po’ di tutto, c’era pure Iohannes Sambucus, strano personaggio anche nel nome, passato pure da Bologna, autore di poesie alle volte quasi al limite dell’oscurità. Questa sull’amore mi è piaciuta, anche se non la inserii nel novero. Ci sarebbe stata, certo ed era pure nel novero delle immagini petrarchiste. Ma so bene che sarebbe tutto da rifare, oggi che padroneggio meglio gli strumenti. All’epoca ero più sprovveduto di ora, anche se lo resto parecchio. Amo imparare, ecco, visto «ch’altro piacer che d’imparar non provo» (Petrarca, Triumphi, I, 21).

Sull’amore non so quanto io abbia imparato, forse niente di più di quel che si trova scritto nei libri. Ripeto a memoria che «amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione forme alterius sexus», come suggeriva Andrea Cappellano, e mi stupisco. Sì, mi stupisco sentirlo risuonare in me, come eco lontanissima, come nei versi baudelairiani della sconosciuta, apparizione e sparizione degna dei fedeli d’amore, che scorgevano l’amata passare «per via adorna e sì gentile / ch’abassa orgoglio a cui dona salute» (G. Guinizelli, Io voglio del ver la mia donna laudare, 9-10). Anche a me è capitato, non lo nego, ascoltando la voce celestiale di una figura eterea e di sentirmi annegare in quella luce senza tempo. Chissà, retaggi letterari. Tutto qui.

 

 

 

Quasi dimenticavo di riportare pure l’originale: sì, lo avevo aggiunto in nota, ma la pigrizia di molti che conosco è superiore a quella di Belacqua.

 

 

Amoris ignis perpetuus.

 

Hinc taedam ut suus ignis edat teretem, vide

Illinc ut rapido male liquitur a rogo.

Visae tabet amans miser igne puellulae:

Absens tabifico haud minùs ulcere carpitur.

 

 

© Federico Cinti

Tutti i diritti riservati

18 commenti

  1. vittynablog ha detto:

    E non poteva essere altrimenti il tuo mondo ,Federico , un mondo fatto di parole, di poesia di amore per la letteratura.

    ” Tutti li miei penser parlan d’Amore ”

    scrive il sommo Poeta per Beatrice, ma tu potresti dirlo per tutti quei poeti che ti sono entrati nel cuore e così bene riesci a parlarne. Loro respirano con te, si avverte in ogni parola che scrivi. Sotto le tue mani, non sono più personaggi letterari, ma prendono vita come se vivessero intorno a noi.

    E l’Amore sublimato da tanta poesia, penso ti abbia fatto toccare vette altissime.

    Bellissimo è stato leggere queste parole. Non sono giornate facili per me queste. Ma leggerti mi trasporta in un mondo migliore e mi fa sentire in pace col mondo!

    Grazie Federico !

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Carissima, mi dici cose molto belle e te ne sono grato. Veramente la lettura e la scrittura per me non sono vuoti esercizi di stile, ma rimandano a una passione intima che si traduce in parole. Agli autori si giunge, prima o poi, a dare del tu, e in modo naturale aggiungerei, come il Machiavelli che si ritira, la sera, nel suo scrittoio a parlare per ore con gli antichi uomini delle antiche corti e non sente fatica o affanno. Già, proprio così, per me è proprio così. Eppure, certo, lo confesso, c’è stato un periodo in cui tutto era pesante, come quando s’impara a fare qualche cosa e allora, se non si fa fatica, non serve a nulla. Oggi è un dialogo costante: è sentirsi risuonare dentro i testi altrui e viverli come propri, in una sorta di rappresentazione costante di sé e del mondo.
      Ecco, se riesco a comunicare questo, dico che sono contento, perché riesco a restituire tutto ciò che a mia volta mi è stato e gratuitamente donato. Il senso di questo piccolo spazio è questo, anche questo.
      Sono pure contento di riuscire, in qualche misura, ad alleviarti questo periodo non facile. È proprio vero: la letteratura è una medicina, una terapia dell’anima.
      Buona giornata, carissima!

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      1. vittynablog ha detto:

        Allora devi essere contento perchè ci riesci benissimo!!!! 🙂

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      2. Federico Cinti ha detto:

        Ah, ne sono molto contento! Del resto, «studium» in latino vale pure «passione», «zelo» e non solo «studio»!

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  2. wwayne ha detto:

    Rieccomi! Petrarca è un grande, ma tra gli autori della letteratura italiana preferisco Verga: piace anche a te?

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Ah, carissimo, ma certo: Verga è un genio e forse solo per invidia non ha vinto il Nobel. Pensa che, in questi giorni, sto proprio affrontando a scuola Naturalismo (in particolare Zola), il Verismo (Verga) attraverso la mediazione degli scapigliati. Certo, il Verga verista ha una sua fisionomia tutta particolare e un fascino che, ogni volta che lo rileggo, scopro sempre qualche cosa di nuovo. Prediligo tuttavia «Vita dei campi» e «I Malavoglia», anche se certi romanzi romantici erano giustamente apprezzati pure all’epoca.

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      1. wwayne ha detto:

        In che senso Verga non ha vinto il Nobel per invidia?

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      2. Federico Cinti ha detto:

        Nel senso che pare che gli abbiano preferito altri in quel secondo decennio del Novecento. Vinse il premio la Deledda. Forse è solo pettegolezzo.

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      3. wwayne ha detto:

        Oggi Verga è considerato imprescindibile in qualsiasi programma scolastico, la Deledda non la mettono neanche nei manuali: credo che basti questo a chiarire chi sia il migliore tra i 2. Grazie per la risposta, e buon fine settimana! 🙂

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      4. Federico Cinti ha detto:

        Verissimo! Anche questo significa tanto! Io per esempio non riesco mai a trattarla: mi manca il tempo. Diciamo così.

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      5. wwayne ha detto:

        Io sono riuscito a prendere un’abilitazione all’insegnamento senza sapere nulla della Deledda. E non perché l’abbia trascurata io, ma perché non era nell’elenco dei 35 autori che dovevamo studiare per i test di accesso al TFA. Anche questo la dice lunga.

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      6. Federico Cinti ha detto:

        Ah, certo: è proprio così! Allora, carissimo, direi che siamo colleghi.
        Chissà, arriverà il giorno in cui dovremo pure affrontare questo nodo nei programmi. Intanto, però, facciamo Verga e gli altri.
        Grazie di tutto e a prestissimo!

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      7. vittynablog ha detto:

        Il libro di Zola che sto’ leggendo, Germinale, mi piace moltissimo. Spiega in maniera eccellente e con parole accorate la dura vita dei minatori, intrecciata al loro modo di vivere e amare. Ora capisco perchè quando lo scrittore morì, dietro al suo feretro andarono molti minatori. Fu un loro tributo per ringraziarlo per aver spiegato al mondo la loro vita. Ti ringrazio ancora per avermi consigliato di rileggere questo autore per correggere il mio pensiero su di lui!!!! ❤

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      8. Federico Cinti ha detto:

        Ne sono veramente lieto! Anche a me capita di rileggere testi che, la prima volta, non mi avevano lasciato una bella impressione. soprattutto i grandi, e Zola senza dubbio lo è, nascondono quasi i loro tesori a una prima letta. Me ne parlava la mamma di un amico, che insegnava da tanti anni, e lo faceva con una passione che mi ha fatto pensare: ma allora io non ci ho capito niente! E in effetti, a dirla tutta, ci avevo capito il giusto, perché ero troppo giovane, forse, perché pensavo ad altro. Tutto poi sedimenta in noi e ciò che ci piaceva poco o non ci piaceva affatto cambia quasi volto. IN questi giorni che sto, a scuola, ripercorrendo Naturalismo Scapigliatura e Verismo, nemmeno a dirlo, sto riscoprendo tante cose. aggiungo pure il tassello di Carducci al mosaico, personaggio davvero particolare di cui sto leggendo un’ottima biografia a cura di un amico, Francesco Benozzo. Non si capisce perché, oggi, Carducci sia caduto in disgrazia, quando è uno dei protagonisti assoluto della seconda metà dell’Ottocento italiano ed europeo, oltreché premio Nobel della letteratura.
        Insomma, dovremmo essere grati a chi ci parla di noi con la sofferenza di chi ha vissuto davvero la vita. Questo il senso del fare poesia e letteratura. Spero che i miei poveri studenti lo capiscano, ma stamattina uno, Giacomo, sempre lui, mi ha confidato: «Non vedo l’ora di fare Carducci». Mi auguro di riuscire a rappresentarlo al meglio.
        Grazie ancora e buona serata!

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      9. vittynablog ha detto:

        Il Carducci sarebbe onorato di essere rappresentato da te! Ed io non so cosa pagherei per assistere ad una tua lezione!!!! Per fortuna scrivi qua di poeti e sentimenti, in una maniera così bella e colta riesco sempre ad imparare qualcosa. Grazie ancora!!!!

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      10. Federico Cinti ha detto:

        Proverò a recuperare qualche cosa di quel che succede in aula, appena finisco naturalisti, scapigliati e veristi. Del resto, è quello il milieu in cui si muove pure Carducci,, fierissimo classicista e «amico pedante», la cui attualità sta nell’essere inattuale per definizione. In quell’Italia piena di contraddizioni fa tuonare, leone maremmano come si suol dire, il suo ruggito.
        Pensa che, anni fa, nel 2015, avevo tradotto in bolognese, per un’antologia cui avevo partecipato, alcune sue poesie, in particolare le sue due anacreontiche più famose, «Pianto antico» e «San Martino», oltre alla più famosa «Nella piazza di San Petronio». Oddio, famosa non lo so, ma a Bologna è certamente famosa, e non altro per piazza Maggiore. INsomma, per farla breve, ogni tanto qualcuno mi chiede di recitarle. Effetto straniante, certo, Carducci in Bolognese, anche se poi ha vissuto qui dal 1861 al 1907. Dico «qui» per dire nella nostra città, anche se è un genio della letteratura mondiale, riconosciutogli con il Nobel.
        Grazie sempre e a prestissimo!

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      11. vittynablog ha detto:

        Non avevo letto questa bella risposta. Mi hai fatto sorridere col Carducci in bolognese! Avrebbe sorriso anche lui, spero, anche se lo immagino molto serioso e poco incline allo scherzo! Aspetterò con pazienza quello che potrai dirmi sulle lezioni in classe. Ti ringrazio già anticipatamente 🙂

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      12. Federico Cinti ha detto:

        Ah, sì, non c’è dubbio: Carducci doveva essere proprio serioso e incutere un’aura di venerabile rispetto. Ma tant’è, noi lo ricordiamo anche con una certa simpatia, se non altro perché prendeva sul serio tutto ciò che faceva in un mondo di folli come il nostro.
        Ti assicuro che le traduzioni in bolognese gli rendono merito! Chissà, catapultato dalla sua magnifica Toscana al di là dell’Appennino in una città la cui lingua pareva già molto affascinante a Dante e a Leopardi, ma poco praticabile forse alla pura favella di nonna Lucia, come ricorda ai suoi «cipressetti» in «Davanti san Guido». Ma questa è poi un’altra storia e non voglio certo annoiarti!

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