Azzurro il cielo sopra le Moline
esala lento tra le luci accese,
un palpitare prima della fine
gocciola tra le tegole sospese.
Esile vacuità, trama d’attese
nascosta oltre le imposte tra le trine,
infinita città, dolce paese,
ansia di vita dentro le cucine.
L’anno va via, l’ennesimo ritorno
oscilla nell’asintoto perenne
del tempo inafferrabile alle mani.
In cammino, non ieri, non domani,
null’altro che il presente arduo, solenne,
incessante procedere del giorno.
Era a cena da un’amica, l’altra sera, l’Ingegnere: gli capita, ogni tanto, anzi spesso, di adire quel mondo senza età, senza contorni. Era quasi «l’ora che volge il disio / ai navicanti e’ntenerisce il core» (Purg. VIII 1-2), quando un guizzo di memoria mi ha sorpreso. Sulle Moline ci si era già soffermati, temporibus illis, a proposito di Gregorio, il libraio che non ti vendeva nulla se prima non l’aveva letto. Un miracolo, un genio, un intellettuale? Chissà, a Bologna si dà di tutto, nella sua fauna pittoresca e bizzarra. Si trova nella porzione cittadina tra Mascarella e Belle Arti, dove ha abitato cinquant’anni mia zia Pierina, il cuore della zona universitaria.
Gocciolava il cielo l’ultima azzurrità dalle tegole dei tetti spioventi, dai profili irregolari e lontani, in un ennesimo giorno di fine anno, quando per le strade fluttuava senza saperlo «il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente» (G. d’Annunzio, Il piacere). In quell’ansia di ricordi ho ripercorso il desiderio di ritorno, quella nostalgia che è forse tutta letteraria, ma che è l’unica cosa che resta al fondo dell’anima. Anche le parole hanno vita, brillano come fari accesi. La fatica maggiore pare sia riconoscerle nella loro nudità, senza che la retorica – per dirla con Pirandello – non muti la forma in imitazione.
Anch’io ero con l’Ingegnere, in qualche modo, oltre i portici, sui lastroni dissestati, eppure così familiari a chi trascorre tra quelle case quel po’ di vita che gli è dato di regalare al tempo. Dalle finestre emanava una luce, velata dalle trine e dai balconi, una luce interiore azzarderei quasi a scrivere, se non apparisse un che di antico e paludato nell’esprimersi così. Era pur sempre un interludio dopo Natale, quel giorno, nell’incantata sospensione di momenti che non tornano se non nella ciclicità in cui vive soltanto il presente. È per questo che non posso tacerne, non posso tacere di quella piccola serata bolognese in cui tutto resta sempre uguale a se stesso.
Prima o poi, come allora, prenderò un’altra volta quella via dal nome antico, Moline, sorta sui canali e sulle acque che oggi non si vedono più, sotterranee e intime, come i flussi vitali che sentiamo pulsare senza tregua. E in quelle acque sta lo specchio nascosto di ciò che siamo e di ciò che non possiamo, distacco e presa di coscienza nel medesimo punto. La superficie cela e svela ipso facto. Il più è accorgersene, distratti come si è dal transeunte, mentre «ciascuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera» (S. Quasimodo, Ed è subito sera). Oltre quel vetro, anch’io respiravo «non so che felicità nuova» (G. Pascoli, Il gelsomino notturno, 24).
© Federico Cinti
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Complimenti per il tuo sentire, è davvero piacevole leggerti 😊
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Mi fai arrossire! Ti ringrazio. Ripercorro con la memoria quel poco che sono riuscito a rivivere nelle parole degli amici.
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Non arrossire, tu meriti molto 😊
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Ancora grazie di cuore!
Poi, sai, su Bologna, la mia città, non so resistere…
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Ci credo è una bella città!!!
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Lo penso anch’io, ma so bene di essere di parte!
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Io no invece, il mio è un parere sincero 😉
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E allora il tuo vale più del doppio del mio! Del resto, si fa il nido dove si sta bene. E io amo molto la mia città.
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Concordo con chi ti ha fatto il legittimissimo complimento. E’ sempre quel che si dice “un bel leggere”, una narrazione-riflessione profonda e colta, in una forma e un Italiano (diciamolo) da leggere ad alta voce, perché ricco, musicale e avvolgente. Scrittura lirica e suggestiva anche in prosa (che leggo con avidità) la tua, che evoca e riporta alla luce quella di una letteratura che sembra ormai tramontata. Ma forse non è così, e tu ne sei la prova.
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Amo immergermi in quella letteratura e ci scopro sempre qualche cosa di nuovo, una parola, un dettaglio, una gemma preziosa, che non avevo colto. INsomma, un tesoro inesauribile. Ti ringrazio molto di quel che dici della mia scrittura: sono convinto che, se non sa di vita, non può essere vera, tutt’al più un esercizio di stile ben riuscito, ma poco altro. Devo provare pure io a rileggermi a voce alta: i testi non solo solo significato, bensì anche significante, come giustamente dici tu.
Certo, mi viene da ridere: parlo di me come parlo di quegli autori che leggo e spiego a scuola, forse a me stesso, in un eterno soliloquio, come allo specchio. Ma la riflessione autentica, come allo specchio appunto, non avviene davanti a sé? Non ci si conosce veramente quando ci si vede da fuori? così dice l’avvocato, se poi è avvocato, della “Carriola” pirandelliana: “Chi vive, quando vive, non si vede”., allora, che la riflessione è possibile solo dopo essere usciti dall’eterno fluire della vita, come “quei che, con lena affannata, / uscito fuor del pelago a la riva, / si volge a l’acqua perigliosa e guata”. Si diventa eroi del dubbio, come direbbe Anselmo Paleari, dopo lo strappo nel cielo di carta.
Non so, a queste questioni ci sono arivato, forse per caso, forse per atrazione fatale. Cerco di capire, ma solo attraverso la scrittura mi risulta possibile. E parlando con te, credimi, mi sento ancora in quel flusso e in quello specchio. Di questo pure ti ringrazio.
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Tale è la riflessione, come dici tu. Concordo. E la letteratura è specchio. Un piacere leggere i tuoi rimandi, questo Pirandello, poi, sempre così esatto e attuale (per non togliere nulla all’eterno Dante, scrigno prezioso, pozione che al disvelarsi in aroma, profumo, luce di gemma o parola intarsiata, espande, esplode nella mente in raffigurazioni e verità….).
Non ci si separa più da certi autori “classici” (che termine inadatto), portatori di cotanta verità e ispirazione. La loro arte non può che attraversare anche il nostro pensiero e la nostra parola scritta.
Forse mi illudo nel credere che anche i più giovani lettori, se dotati di una certa sensibilità, ne restino tutt’ora ammaliati come noi lo fummo a nostra volta, nonostante le distrazioni oggi siano forse troppe e richiedano da parte loro un’attenzione e una concentrazione più grandi.
In ogni caso, grazie a te per ciò che condividi e della possibilità di alimentare una comune passione (che altro non è se non linfa vitale; davvero, non so cosa sarei senza, giacché poco altro nella vita mi interessa…) e lo scambio.
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Ah, Pirandello è una delle mie ossessioni virtuose e Dante con lui! Anzi, devo finire un mio piccolo saggio proprio su Dante: queste vacanze mi dovranno pur servire a qualche cose, oltre ovviamente a leggere e a scrivere!
La «Commedia» la so a memoria: a scuola i miei poveri studenti, cui non smetto di infliggerla, lo sanno bene! Infliggerla, poi: il giorno dedicato a dante non manca nessuno e non vola una mosca. Insomma, davanti all’assoluto non si può che restare a contemplare.
Ti dico che l’anno scorso, quando ho fatto Ovidio, è piaciuto al punto che non si è parlato d’altro per un paio di mesi, soprattutto delle «Metamorfosi». Io stesso non riesco a pensare ad altro, alle volte: avverto un’intensità che diviene quasi rapimento. Ma è la letteratura, nulla di più. Una mia studentessa ha raccontato per due ore, durante una passeggiata estiva, alla madre tutta la letteratura latina che avevammo studiato. Peccato che io ne faccia sempre poca, poca per la sete di conoscenza che hanno. Questo per rispondere alla tua domanda. del resto, come diceva Picasso, quanto tempo ci vuole per diventare giovani! Prima si semina, quindi si raccoglie, anche se non è un lavoro privo di fatica. Leggere è fatica, checché ne dicano, ma dà tanto indietro che, poi, non se ne può più fare a meno. Ed è proprio linfa vitale. Il resto, che vuoi mai? Rischia di diventare sterile superfetazione.
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Magari potessi tornare sui banchi adesso! Che belle cose che racconti dei tuoi ragazzi. E indubbiamente sono grandi soddisfazioni anche per te!
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Sì, mi danno soddisfazione, perché hanno la passione e la voglia di chi legge e scopre per la prima volta. Io ricordo che, all’epoca, capivo poco, nel senso che, ripensandomi adesso, capisco che non avevo capito niente. Ma la passione, ah… quella sì che l’avevo e mi è rimasta, anzi cresciuta! Ho scoperto a poco a poco e allora quel mondo mi è parso così affascinante che cerco d’illustrarlo loro più che posso e al megliio che posso. E ogni volta aggiungo qualche cosa, ossia quel che di nuovo trovo tra i rami e le sterpaglie di quel groviglio che è tutta la nostra letteratura, tale – groviglio dico – perché è difficile districarsi da soli, soprattutto in un’epoca che fa di tutto per distrarci e condurci altrove. Il resto viene da sé o almeno a me così succede.
Dici poi il vero, quando vorresti tornare adesso tra i banchi: quando se ne esce, proprio allora ci si vuole tornare, ma non per ansia di giovendù, bensì per desiderio di cogliere finalmente quel che si è lasciato indietro.
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Proprio così, proprio così.
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Carissimo, per sbaglio ho cancellato il tuo ultimo commento! Potresti rimetterlo: non so dove sia finito…
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L’ha ripubblicato su notealcodice.
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Grazie infinite dell’onore, carissimo Paolo!
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Forse sono riuscito a ripristinarlo!
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Giusto! Era poca cosa. Semplicemente condivido appieno quella crescita e il desiderio di vicinanza che hai descritto, che sembra quasi una nostalgia, ma non della giovane età, quanto dell’occasione di conoscenza e del piacere e passione che, nella letteratura, o in ogni forma d’arte o disciplina per la quale si è in qualche modo votati, essa può innescare.
Grazie ancora di questa bella chiacchierata.
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Sì, il senso era esattamente quello che hai sintetizzato.
Anch’io ti ringrazio di questo confronto così costruttivo!
A presto…
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A presto!
P.
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Bellissimo!
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Ti ringrazio veramente di cuore!
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