Calipso e Ulisse

 

Cielo e mare, nell’anima l’oblio

antico in cui smarrire ogni contorno

lungo la via, impossibile il ritorno

in patria, chiara l’eco dell’addio.

 

Partire o rimanere, mormorio

sommesso tra le palpebre del giorno,

ombre concave in cuore, tutto intorno

esilio atroce, inerte logorio.

 

Ultima dea, nascosta, la speranza

langue inerme. Non vela, non sussurro

in vista, voce cava di conchiglia.

 

Solo l’amore, antica meraviglia,

stordisce i sensi. Un palpito d’azzurro

e l’occhio annega in quella lontananza.

 

 

Eternità di un tempo senza fine, non altro, mi è sempre parso il soggiorno di Ulisse nell’ombelico del mare, presso «Calipso, inclita ninfa», per usare uno dei tanti epiteti usati da Ippolito Pindemonte, nell’isola di Ogigia. Sette lunghi anni, come canta Omero, oppure uno solo, come sbrigativamente riporta Igino nelle sue Fabulae, o ancora nove, come ricorda Cesare Pavese nei Dialoghi con Leukò? Non importa: l’amore di «Calipso, inclita dea», non poté vincere lo struggimento dell’eroe di tornare in patria, al «debito amore, / lo qual dovea Penelopè far lieta» (Inf. XXVI 95-96). Sul lido algoso l’eroe dal multiforme ingegno piangeva, sospirando l’azzurro oltre cui sarebbe tornato a vivere e a essere mortale.

In quella pausa ai confini del mondo il tempo si era fermato, in un’infinita primavera. nel nascondimento di Ogigia era racchiuso il senso della vita, «come in conchiglia murmure di mare» (G. Pascoli, Alexandros, IV 36). Forse è proprio Ogigia la conchiglia in cui si sente l’eco del mare, l’incessante fluire dell’essere. Nell’antro di Calipso, «illustre dea», si nascondeva il segreto attorno cui tutto ruota. Ulisse intravvede l’immortalità, attinge alla sapienza ignota agli uomini, ma deve andare, non può restare. Ha in sé la propria conchiglia, che pulsa diversamente, eppure all’unisono.

 

 

 

In un sogno ritorna a quelle sponde arse di sale, a quel non luogo e a quel non tempo, per la visione estrema del poeta, l’eroe navigatore: «lo riportava il mare, / alla sua dea: lo riportava morto / alla nasconditrice solitaria, / all’isola deserta che frondeggia / nell’ombelico dell’eterno mare» (G. Pascoli, Calipso, 40-44). Era il ritorno, il senso di quel pianto in cui si erano lasciati sulla sponda dell’«ultimo fiume Oceano senz’onda» (G. Pascoli, Alexandros, I 7). Partire o rimanere? Era la domanda, il «murmure di mare» della conchiglia che pulsava all’unisono, ma diversamente. In quel ponto, divenuto ponte, tutto è divenuto possibile. era l’amore e la morte, che «fratelli, a un tempo stesso», come cantava il Recanatese, «ingenerò la sorte» (G. Leopardi, Amore e Morte, 1-2).

Chissà, Calipso e Ulisse, la ciclicità che ruota attorno all’isola, spersa tra «l’ultimo fiume Oceano senz’onda», nell’eterno fluire del cuore, sistole e diastole che s’inseguono e s’allontanano. Ulisse «baciò la sua petrosa Itaca» (U. Foscolo, A Zacinto, 11), per poi tornare forse nel nascondimento solitario di Calipso, presso cui ogni essere creato ritorna e si rigenera. Anche Ulisse si vede da fuori, antico e nuovo Narciso che rifiorisce dalle acque. Nulla si è perso, nulla si è distrutto: la poesia è una mutevole palingenesi di senso, uno specchio oltre la cui soglia tutto si ritrova, come nell’antro di Calipso, come nella conchiglia che ha in sé sempre il «murmure di mare». Così, partire è come ritornare.

 

 

© Federico Cinti

Tutti i diritti riservati

8 commenti

  1. “… Così, partire è come ritornare…” è bellissima questa poesia!
    Si spera sempre che, per tutti, partire sia come ritornare, almeno in quella memoria che custodisce i momenti di vita più preziosi. Poi non possiamo sapere quello che succede nell’animo delle persone. Ma, veder partire, o partire, è sempre molto duro, ed è impossibile tornare indietro, sarebbe come fermare la vita.
    E’ splendido anche tutto il tuo post con le poesie dei poeti. A mio modesto parere, Ulisse lo era un po’ meno… Forse chi lo ha creato, o raccontato, voleva parlarci della ‘razionalità’ dell’uomo greco, avvertirci di qualcosa…
    Spero che, un giorno, un altro poeta, ci possa narrare una nuova odissea, quella di un Ulisse che, ripresa la nave, sia ripartito anche da Itaca, per continuare la sua ricerca da uomo libero. Con Calipso, e anche Nausicaa, nel cuore, …

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    1. Federico Cinti ha detto:

      Ti ringraio delle tue parole!
      Ulisse, checché se ne dica, non è sempre personaggio positivo: la sua ‘nostalgia’, il suo ‘dolore del ritorno’, non ha una meta precisa, non è Itaca, non è Ogigia, non è la terra inaccessa nell’emisfero australe. MI pare piuttosto una condizione esistenziale, un’nsoddisfazione incolmabile, simile a quella noia di cui parla Leopardi. Nel mondo antico era un eroe, l’incarnazione dell’oltracotanza che lo spinge al di là del limite e del lecito. Anche dante lo stigmatizza perché va sì alla ricerca, ma per sé non per la propria salvezza.
      Mi pare egli lasci sempre dietro di sé qualche donna infelice. sembra che siano loro a non capire la sua ansia d’infinito. a me pare che sia lui a non accettare il loro amore. per questo tengo per Calipso, Nausicaa (meno per circe, ma è una maga) e per Penelope. Non so, Ulisse è sempre in fuga, forse da sé, forse dal mondo che non capisce e da cui non si fa capire, anche in senso etimologico, ossia catturare. chissà, sarà finito come raccontano le fonti? Pascoli lo fa tornare da Calipso, ma morto. Interessante reinterpretazione dell’ansia all’immortalità.
      Per me il viaggio è affascinante, anche se amo quelli altrui. anche questo, forse, è un viaggio.

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      1. Grazie, c’è sempre molto da pensare riflettere!
        Ulisse non mi ha mai convinta, poi la storia ci racconta che, in Grecia, la donna ‘non esisteva’, se non come fattrice, rinchiusa in fondo a ginecei. Altre civiltà, nella stessa epoca di Ulisse, o precedenti erano molto più evolute e, nella loro cultura la donna ‘esisteva’. Forse bisognerebbe capire quando e perché, è iniziato, in Grecia, l’annullamento nei confronti della donna. Il ‘messaggio’ di Ulisse, e dell’Odissea, pur nella splendida narrazione, ci racconta che l’uomo forte e vittorioso e avventuroso, è tale, grazie alla sua ‘razionalità’ che annulla l’immagine femminile, pur cogliendone la bellezza. E’ questa la causa, penso, della sua perenne inquietudine.

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      2. Federico Cinti ha detto:

        Penso anch’io che vi sia sempre l’eterna dialettica tra apollineo, logos, e dionisiaco, alogos, e che così si debba interpretare. Chisà perché Calipso vive in una grotta? anch’essa, la grotta intendo, è forse simbolo, proprio come il gineceo nelle case greche, della realtà femminile. Ulisse, eroe navigatore, perennemente inquieto alla ricerca di non sa nemmeno lui che. Certo, «baciò la sua petrosa Itaca», ma gli fu sufficiente? Anche oggi i miti parlano di noi e continuano a svelarci le oscurità delle nostre intime ombre.

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      3. La parola grotta mi riporta ai primordi dell’umanità… E penso anche che, la grotta, sia l’esatto opposto del gineceo :-).
        Della vita umana in quelle grotte si sa ancora molto poco. Sicuramente le donne non andavano a caccia con gli uomini perché dovevano accudire la prole numerosa, e nei momenti di libertà, quando i piccoli dormivano, potevano benissimo dipingere le grotte. Molte impronte di mani colorate lasciate sui muri, appartengono a donne, e anche a qualche bambino ( forse li prendevano in braccio per farli dipingere …) lo affermano molti, e moderni, studi scientifici. Chissà, forse nel profondo, la bella immagine di Calipso, nasconde questa storia primordiale: di una donna che è creativa non solo perché mette al mondo un altro essere umano, ma perché con la sua fantasia sapeva creare immagini splendide che dopo millenni ci parlano ancora di loro.

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      4. Federico Cinti ha detto:

        Penso pure io che sia così. Bisognerebbe rileggere in controluce, diciamo così, la storia e troveremmo la grandezza delle donne!

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      5. Federico Cinti ha detto:

        Grazie veramente a te!

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