Pennellate di sole. Ride l’aria
ebbra d’azzurro. Palpiti di vita
riempiono il cuore. Sulla via smarrita
sogna l’anima fragile, precaria.
Al cuore una dolcezza immaginaria
rampolla, ardua vertigine infinita
adesso e sempre. Labile salita,
caducità dell’ora che non varia.
Antica novità di primavera,
presaga del trascorrere dei giorni,
oggi vestita d’una luce chiara.
L’ora trascorre, adesso, forse ignara,
lungo i mille sentieri dei ritorni,
in cui tutto sarà come già era.
Come nasce una poesia? qualcuno di recente me lo ha chiesto. Me lo sono domandato sempre pure io. Spesso mi sono visto da fuori, seduto al mio tavolo, digitare sequenze arcane di lettere. Al mio tavolo, certo, oppure sulla sedia, sul divano, in autobus. Una posa, ovvio: si è sempre fatto così. Eppure, credo che una poesia non nasca: la poesia esiste già, tra le pieghe nascoste delle cose, nell’aria che si respira, nel senso che si scopre a poco a poco, come un miracolo, come una rivelazione. È come se qualcuno ce la dettasse. Il vate ebbe a spiegare che «i’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando» (Purg. XXIV 52-54). Un’ipostasi bella e buona, questo suo «Amor», l’entità che per gli scolastici era «voluntas animi», la forza che eleva dal moto discensivo del desiderare (de sideribus) a quello elativo del considerare (cum sideribus).
Nella realtà, non altrove o chissà dove, è insita la poesia, perché «c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico» (G. Pascoli, L’aquilone, 1-2). Straordinaria dichiarazione, questa, di quell’inesprimibile «qualcosa» – altri avrebbe detto «non so che» – «di nuovo» e «d’antico» inscindibilmente insieme. Un unico afflato, un unico senso permea e trascorre gli infiniti piani in cui ci si muove e ci si trova. Ecco dunque che in una pennellata di sole, in un po’ di colore oltre le case si coglie ciò che tutti abbiamo dentro da sempre. in questo la parola crea e ricrea ogni istante, invisibile sibilo del cuore, perché sono sempre «parole più nuove / che parlano gocciole e foglie / lontane» (G. d’Annunzio, La pioggia nel pineto, 5-7).
Va colta, tutto qui e non altro, la poesia, fiore dolcissimo di campo. Perché la poesia si può donare, come omaggio fuori del tempo e dello spazio, come momento di condivisione immateriale. Non a caso l’occasione, il kairòs, è ciò che muove lo svelamento dalla misteriosa unità al momento particolare in cui si plasma, si dà forma e sostanza allo sciame dei nostri pensieri o emozioni. Non è mai indifferenza o atto cortese, bensì sempre una necessità ineludibile. Non il poeta, quindi, canta e fa versi, bensì il sentimento di cui si fa strumento. anche un compleanno a fine febbraio può essere motivo poetico da onorare, principio e fine di un ciclico ritorno.
Non altro, almeno mi pare, sulla questione. I più faranno finta di capire che cosa significhi questo travaglio interiore. Eppure, l’arte è anche mestiere e non ci si improvvisa nemmeno ad «accordare le sillabe dei versi / sul ritmo eguale dell’acciottolio» (G. Gozzano, La signorina felicita, III 47-48). Anch’io ci ho impiegato tanto a oltrepassare la linea d’ombra che permette di comprendere, seppur velatamente e in modo impreciso, questo groviglio inestricabile. tanti si limitano a fare a pezzi la fragile struttura di cristallo di una poesia, come se il bello di un fiore fosse la sequela ordinata dei petali o la corolla vivisezionata sotto il vetrino del microscopio. La profonda unità tra sostanza significante e significata non può essere oggetto di analisi, pena la scomposizione artificiale di un mistero che continua, nonostante tutto, a restare tale. Chissà, la critica letteraria origina in qualcuno non dallo scambio di idee, bensì dall’impossibilità di averne di proprie e dalla voluttà di distruggere le altrui. La primavera esiste nonostante l’occhio di chi pretende di spiegarla scientificamente. Ma la retorica serve pure a questo, a velare di falsa epistème la dòxa più vera.
© Federico Cinti
Tutti i diritti riservati
Io, personalmente, inizio a scrivere una poesia quando sento il rumore delle lancette del mio tempo. Sento nel profondo che qualcosa sta per scadere. E’ una sensazione strana. Provo una sorta di imbarazzo ad esercitare questo forma misteriosa di autoconoscenza del mio essere per il semplice fatto che spoglio la mia anima e ho paura di non saperla rivestire di quelle parole non sempre ben educate e pronte all’ascolto del mio cuore. Buona giornata 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Qualcosa del genere capita pure a me, nel senso che avverto come il bisogno di esprimere un mondo che altrimenti non riuscirebbe a essere contenuto. Poi, l’espressione risulta sempre insufficiente, ma questo perché le parole sono tali per definizione. Potremmo dire che è il travaglio dell’imperfezione!
Grazie di cuore e buona giornata pure a te!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Incantevole poesia e splendide immagini!
"Mi piace""Mi piace"
Ti ringrazio veramente di cuore: le tue parole mi fanno molto piacere!
"Mi piace""Mi piace"