Di quel momento fragile mi resta
il tuo sorriso. Il tempo si è fermato
a quel giorno indicibile. Fu festa,
miracolo nell’anima insperato.
Ora è in me la vertigine. Il passato
restava muta immagine molesta.
Emozione d’un attimo provato
Eternamente. In me fu la tempesta.
Poi il cuore rifiorì di gioia rara
sulla soglia dell’essere. Oltre il velo
invisibile un palpito d’azzurro.
Chiuso nella conchiglia il tuo sussurro
ha il vero senso limpido del cielo,
esilio in terra, dolce luce chiara.
In uno specchio mi ritrovo ancora a comprendere chi sono e chi non sono. È la bella fabella (Apuleio, Metam. VI 25) in cui si racconta il viaggio iniziatico di un’anima. Ha nome, certo, è figlia e sposa. Si chiama Psiche. Anima, appunto. A un certo punto trova sulla via ciò che più di tutto le corrisponde. Trova in sostanza la sua completezza, parte di un tutto scisso per invidia degli dèi. Anche a me è capitato così, non c’è che dire: è successo come a tutti, prima o poi, nella vita. niente di nuovo; eppure, eternamente unico. Tutto mutò in un attimo senza fine. tempo e spazio s’annullarono nella dolce luce chiara.
Una vertigine mi prese, ecco tutto. Avvertii in me la levità del fanciullo che fluttuando confessava a tutti coloro che incontrava: «Oh! Voi non siete il bosco, che s’afferra / con le radici, e non si getta in aria / se d’altrettanto non va su, sotterra!» (G. Pascoli, La vertigine, I 7-9). Uno stato di grazia singolare iniziò a mostrarmi le cose sotto una diversa luce, cambiando in me il modo s’ascoltare e percepire l’universo fuori e dentro di me. Anche i miei piccoli versi presero vita, vera vita in quella tenerezza che completa l’essere fino a trasfigurarlo. Era un candore, lungo quella soglia su cui mi muovevo ormai spinto dalla ricerca di non sapevo bene che cosa. In quel «non so che» trovai la giustificazione al mio travaglio interiore. Era questo, forse, come nel mito, il desiderio d’Amore che la bella Psiche vagheggiava ogni giorno, ogni notte, ogni istante.
Rinacque in me, come un fiore dalla roccia, il senso delle cose, il senso vero, quello che o si prova o non esiste. Molti vagano alla ricerca di ciò che non hanno, senza sapere che tutto è già scritto in loro, nelle eterne pagine di chi ci ha preceduto. È la voce della poesia a guidarci sul sentiero che porta all’assoluto, all’infinito. Un volto luminoso, certo, una voce dolcissima ci attrae. La s’incontra, presto o tardi, e non la s’abbandona più, «come in conchiglia murmure di mare» (G. Pascoli, Alexandros, IV 36). Così rivissi il mito, rivisse in me la bella fabella che narrava di un tempo fuori del tempo. Nulla fu invano. Attendo ancora sulla soglia immota il giorno in cui quest’anima, l’antica Psiche, potrà congiungersi per sempre con Amore. Sarà un giorno di festa senza fine. la mano è tesa, aperta a ricevere quella così amata. La poesia, come una corona, cingerà il capo della principessa. Una corona è pronta già nelle mie mani, dono estremo di questo altissimo sentire che mi ridonò la vita.
© Federico Cinti
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Bellissima questa storia d’amore! È l’unica anche che finisce bene! Grazie!
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Ti ringrazio delle tue parole! Proprio perché finisce bene mi piace tanto! e sono contento che anche tu la trovi bella!
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Si, bellissima!
Ha attraversato secoli, se non millenni, scomparendo e ricomparendo in continuazione ma la forza di Psiche, fusa con quella di Amore, è invincibile.
Forse hai già letto anche il bellissimo libro “Storie di Amore e Psiche” a cura di Annamaria Zesi, nuova edizione 2021 (L’Asino d’oro Edizioni, Roma).
Ti scrivo qualche parola dalla descrizione del libro:
“Nel grande flusso di storie orali che hanno attraversato millenni e spazi amplissimi, sono state scelte 19 varianti della favola di Amore e Psiche, ovvero di quella che è considerata la più antica storia d’amore del mondo. L’intreccio di ognuna di queste storie provenienti da epoche e Paesi diversi dall’India alla Scandinavia, al Tibet, all’Africa, alla Germania, all’Italia – racconta sempre, pur con colori, linguaggi, personaggi e stratagemmi diversi, la stessa storia: il naturale eterno rapporto uomo donna”.
Scusa se mi sono dilungata un po, ma ho solo aggiunto bellezza alla bellezza.
Ciao, grazie!
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Ti ringrazio di cuore: avevo comprato il testo, ma mi è rimasto sul comodino. L’ho suggerito pure ai miei studenti: Apuleio è lettura imprescindibile.
Certo, le varianti del mito lo rendono un caleidoscopio di emozioni e di universi complementari.
Ora bisogna che me lo legga.
Grazie di cuore, carissima, e a presto leggerci…
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si! grazie a te!
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Sempre grazie a te…
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Ciao Federico, domani venerdì 11, con il settimanale Left, esce un libro “La poesia delle donne”, curato in parte da me e da un’altra persona. Se ti andrà di leggerlo, poi mi dirai se ti è piaciuto …
(Colmerò eventuali carenze in un prossimo libro … 🙂 ).
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Carissimo Federico,
è sempre un grande piacere leggerti e parlare con te.
Mi ispiri versi.
Oggi ho pensato ad Ermengarda….credo ci farò un post.
Ti auguro una giornata luminosa e ricca di pace e serenità!
Un caro saluto 👋
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Non sai che complimento grande che mi hai fatto, Valeria! Intendo dire che sapere di ispirare versi è come essere in grado di generare poesia. Versi che generano versi, come luce che genera luce. del resto, dal mito di amore e Psiche questo è inevitabile.
Ermengarda mi dici… leggo sempre il coro dell’atto IV dell'”Adelchi”. Qualcuno – in verità qualche ragazza – ogni tanto piange su quell’amore vero e infelice, su quella «provida / sventura», su una donna che avrebbe dato tutto e tutto ha dato per Carlo Magno, ma che la ragion di Stato ha condannato allo squallore della consunzione. Lei oppressa nata tra gli oppressori, resta l’emblema di un modo di essere e di vivere non comune, come il fratello, cui l’amico e scudiero Anfrido dichiara «soffri e sii grande: il tuo destino è questo». c’è tutto Manzoni in un verso.
Naturalmente, attendo con trepidazione il tuo post.
Anch’io ti auguro ogni bene possibile e un ottimo proseguimento!
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Sono contenta che ti abbia fatto piacere, ma è la verità mi ispiri versi.
Anche quello sulle care fresche e dolci acque del Canzoniere di Petrarca mi è venuto in mente dopo una delle nostre chiacchierate!
Ti auguro una giornata radiosa!
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Ogni volta, valeria, mi fai arrossire!
Sai che pure il grande Palestrina ha musicato la canzone CXXVI del “Canzoniere”?
Dimmi tu se non è già un’interpretazione mirabile! Ma che cos’è la musica se non un linguaggio universale? IN questo ha ragione Schopenhauer.
L’ipertestualità che tanto ci spacciano come conquista del digitale, in verità è insita nella letteratura da che mondo è mondo! Ma che te lo dico a fare? siamo pur qui a parlare anche di questo!
Un abbraccione.
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Non lo sapevo, l’ho ascoltato, grazie.
Sì, è un’interpretazione mirabile!
Come sai, adoro anche la Filosofia.
Un abbraccione.
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Sì, so bene, per questo mi sono inoltrato pure in questo terreno. Del resto, la riflessione filosofica è di per sé letteratura.
Per Palestrina credo sia il genio – o uno dei geni – della musica del cinquecento. Del resto, l’ha salvata dalla condanna di papa Marcello con la famosa “Missa papae Marcelli”. Un po’ di storia della musica provo a illustrarla ai miei poveri malcapitati studenti e di solito canto pure qualche cosa, un madrigale (mi piace molto “Amarilli” di Caccini). Quando parlo del melodramma canto sempre qualche aria dal “Don Giovanni” di Mozart. Quest’anno niente, non so perché, ma non hanno voluto. Oh, va bene: terrò l’asso nella manica per altre platee.
Appunto, torniamo alla musica da cui siamo partiti. Anche la poesia è musica: certi versi o giri di parole suonano e consuonano con noi. Veramente la parola è creatrice di mondi.
Alcuni mottetti di Palestrina mi fanno venire la pelledoca, per esempio il “Sicut cervus”. Forse lo conosci…
Un saluto carissimo, Valeria!
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Ho sofferto moltissimo per Renzo e Lucia, per la monaca di Monza sono rimasta straziata e ho sofferto da morire per Didone.
La sofferenza altrui non mi lascia mai indifferente.
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Ma non ti pare che la vicenda della monaca di Monza, che poi finisce anche per convertirsi, sia molto simile a quella di Ghismonda nel “Decameron”? Io li ho sempre collegati. Ora, dovrei controllare la bibliografia, ma ci sarebbe da ragionare sul modo in cui certe figure ci vengano proposte dai nostri grandi autori. Manzoni è geniale: nei “Promessi” c’è il nostro intero essere. Il male, ahimè, è condizione esistenziale con cui si deve convivere, ma che in alcun modo si deve accettare. Il povero renzo compie un suo cammino, anche spirituale, che lo trasforma radicalmente. anche Lucia non è da meno. Insomma, non ci si bagna mai nello stesso libro due volte, per parafrasare Eraclito. La fortuna di chi, per mestiere, deve leggere e rileggere ogni anno certi autori è di poter scoprire sempre qualche cosa di nuovo.
S scopre ciò di cui facciamo giorno per giorno esperienza. sono contento di poter parlare con te di questi argomenti. Non è cosa comune, credimi.
Buona serata, carissima Valeria!
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Grazie di cuore Federico, ho sofferto molto anche per Anna Bolena, ma soffro anche per gli uomini, diciamo che detesto le ingiustizie.
Non riesco più a vedere i film su Gesù, la scena della passione mi uccide e anche i film 🎥 sull’Olocausto mi fanno stare male.
Che ti devo dire, forse in una vita precedente sono stata Giovanna D’Arco!!!
Paolo e Francesca, Pia de’ Tolomei, gli esempi si moltiplicano a dismisura.
Sono una che prende tutto molto sul serio, ringraziando Dio ho un gran senso dell’umorismo che mi aiuta a ricondurre le cose, altrimenti sarebbe una vita di inferno.
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Ti capisco. Mi è sempre parso singolare che le tre donne dantesche, francesca, Pia e Piccarda, siano accomunate dalla violenza maschile, anche se con un destino ultraterreno ben diverso l’una dalle altre. su Pia mi ero lanciato pure io l’anno scorso…
https://federicocinti.home.blog/2021/03/24/pia-de-tolomei/
Ne avevo parlato in classe con gli studenti che ora devono fare la maturità, i miei poveri studenti che tra un po’ dovrò lasciare, ahimè o per fortuna… questa è la giusta via e la vita. Insomma, strana vicenda, quella di Pia, così sospesa e ancorata a quell’ultimo ricordo, la gemma, che forse ha guardato l’ultimo istante. del resto, come Piccarda la “dolce chiostra”.
Francesca la vedo come un caso diverso. Non romantico, intendiamoci, ma come una grande donna che alla fine non è in grado di perdonare “chi a vita la spense”. Insomma, giusto o sbagliato, l’abbiamo conosciuta tutti in quel passaggio tra i “peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento”.
Hai ragione a non sopportare ciò che non può essere tollerato. a ogni modo, anche certe eroine romantiche, come Virginia in “Paolo e Virginia” (ha scritto una poesia a riguardo pure Gozzano). La letteratura è uno specchio, il nostro specchio. Eco e Narciso.
Ho avvertito tra le righe delle tue parole (strano a dirlo, figurati a scriverlo) un’ironia che difficilmente trovo. Ti faccio i complimenti per questo tuo tratto del carattere.
Buon tutto: te lo meriti.
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Adesso sei tu che mi fai arrossire, mi hai fatto anche sorridere.
È davvero bello poter parlare con te di questi argomenti che mi appassionano da sempre.
Io dico sempre che, nonostante il mio nome mi piaccia molto, dovrei chiamarmi Cassandra, non serve ovviamente che ti spieghi il perché.
Non avevo mai pensato a quella similitudine che hai proposto, la studierò.
Ho amato pazzamente il Manzoni e Dante.
I promessi sposi lo adoro, è pregno di ironia, pure in un contesto non affatto semplice. La povera Gertrude pagò il prezzo di essere nata donna e vigeva la legge del maggiorascato, credo che in certi contesti sia ancora presente.
Starei delle ore a parlare con te.
Grazie di vero cuore per le tue parole bellissime, ti auguro ogni bene.
Un giorno in classe dissi al Prof. del quale ti ho parlato che avevo raggiunto la catarsi, intendevo dire che ne avevo capito il senso, lui non disse nulla e rimase perplesso, l’intera classe si mise a ridere, compresi i banchi, le sedie, la lavagna e la cattedra, solo le finestre ebbero compassione di me! 😄😄😄
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Eh, la catarsi, un pianto liberatorio: non c’è che dire! Oh, intendiamoci, anche una risata può esserlo, se pensi alle “Satire” di Orazio o di Giovvenale. a ogni modo, per dirla con il mio amato Pirandello, oggi è piuttosto il tempo dell’umorismo, che ci fa comprendere – l’umorismo intendo – il sentimento del contrario. ridiamo pure, anche a denti stretti, ma ciò ci fa capire che le cose non stanno proprio come dovrebbero essere. La responsabilità di chi scrive è enorme, anche se perlopiù minimizziamo. Oggi si scrive troppo, forse si scrive pure male. Ma tant’è: ci sono questi angoli interstiziali in cui potersi esprimere nonostante tutto e tutti. sì, ammettiamolo una buona volta: è la letteratura che parla di noi anche quando noi parliamo di letteratura! anzi, soprattutto quando ne parliamo. Ultimamente ho scritto assieme a un amico una piccola pièce teatrale, qui a Bologna, e ho fatto pure una piccola particina. Beh, è stata un’esperienza unica: gli attori che respirano e parlano all’unisono…
Manzoni si allude a Gismonda, specchio di un mondo in perenzione. Ma poi nemmeno tanto, se è vero che il triangolo amoroso è alla base di tante (troppe) storie che ci coinvolgono e ci sconvolgono. Insomma, sei riuscita a scatenare la voglia di parlare di cose che di solito taccio per pudore.
Insomma, sempre grazie, carissima Valeria!
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Intendiamoci Paolo e Francesca Dante li colloca nel girone dei lussuriosi, il loro era un amore clandestino, non mi piacciono i tradimenti, ma va fatta una giusta collocazione.
Un’amica mi disse qualche estate fa che dovrei fare l’attrice.
Il Professore ci aveva portato a teatro a vedere una tragedia greca, ci stava tutta la catarsi, ma io ho sempre avuto il coraggio delle mie azioni e dei miei pensieri. L’uno può avere ragione contro cento, sempre a dire di Eraclito. Panta rei, tutto scorre.
Devi essere davvero bravo nella tua poliedricità! 👏👏👏👏
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La catarsi è poi la purificazione, che coincide con il pianto. soprattutto il pubblico deve piangere, quando prende coscienza di sé. Diversamente, è esercizio di stile. diversamente, tutto è convenzione, trito rito esteriore, condannato già nell’aT, figuriamoci adesso! A ogni modo, vedersi da fuori, come dice Pirandello, è uscire di testa, diventare pazzi. «Chi vive, quando vive, non si vede. vive», dice l’anonimo protagonista della «Carriola». vero. Come è vero che vedere la propria forma equivale a morire, nel senso che si comincia a prendere distanza da quell’io che ci è stato imposto da altri. In questo il teatro aiuta a capire che ogni nostra azione fa parte di una rappresentazione drammatica. Per questo fare teatro serve tanto. e forse ha ragione la tua amica: dovresti fare teatro per conoscere te stessa, secondo uno dei motti delfici: «cognosce te ipsum». Non si scappa, vedi? La ruota gira, ma torna sempre a quel punto, come la porta callaia del caro Nietzdche. che poi altro non è se non la ripresa della concezione ciclica di cui ci prla pure il buon Virgilio nella IV «Ecloga»: «redit et virgo, redeunt Saturnia regna». Scusami se divago un po’, ma mi sento un po’ come nell’abside di Santa Maria Liberale, nella babelica biblioteca di monsignor Boccamazza. Ma che te lo dico a fare?
Parlare con te scatena la mia fantasia.
Su Francesca, sì, hai ragione: era un tradimento, anche se di un matrimonio per procura con un uomo mostruoso, Gianciotto, ossia Giovanni lo sciancato. Insomma, meglio Paolo, bello, giovane, culturalmente dotato… oh, leggevano «di Lancialotto, come amor lo strinse». La questione è dipbattuta, ovviamente, ma mi pare che la Chiavacci dirima abbastanza la questione e anche Nicola Fosca, in uno dei commenti più belli che io abbia mai letto. anche Sapegno aveva già sgombrato il campo dalle solite quisquiglie e pinzellacchere. Poi, resta sempre la libertà di interpretare come ci pare e piace, ma non senza aver prima compreso il vero senso di ciò che abbiamo davanti.
Insomma, scado nella noia e invece anch’io vorrei farti ridere! Tutti sono capaci di far piangere, pochi – i più bravi direi – di far ridere.
Un abbraccione, Valeria, e grazie di cuore!
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