Nell’anima lo specchio dell’azzurro,
lieve sussurro d’aria, eterea brezza,
dolce carezza eterna nel ritorno
nuovo nel giorno.
S’allaga il giorno a un tratto d’esultanza,
luce di danza chiara tra le foglie,
limpide soglie oltre le rosee dita,
sogno di vita.
Sogno, realtà di vita, meraviglia,
aurea conchiglia in cui risuona il mondo
nel più profondo, in cui rinasce il fiore
vago d’amore.
Senso ultimo, l’amore, occhio di cielo,
dissolve il gelo dell’inverno immoto,
ricolma il vuoto, inanità dolente
di cuore e mente.
Mente e cuore, fusione d’infinito,
antico mito, per cui Orfeo felice
vede Euridice al soffio d’un sussurro
tenue d’azzurro.
Eppure, il vecchio Orazio, lo stesso che diceva al suo amico albio Tibullo che, quando avesse voluto ridere, avrebbe semplicemente dovuto andare a trovarlo, lui che era un ben pasciuto porco dalla pelle assai lucida e curata del gregge di Epicuro (Epistulae, I, 4, 15-16), amava i paesaggi invernali, algidi, rappresi dal gelido cristallo della neve. Anch’io non disdegno l’inverno, anche se il sorriso della primavera riaccende a speranze del tutto mai sopite. Se lo chiede anche il pastore errante o, meglio, lo chiede alla luna, silente pellegrina, «a qual suo dolce amore / rida la primavera» (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 73-74), perché in effetti è così, ci si sente meglio, rigenerati, la stessa rigenerazione dell’«Aeneadum Genetrix, hominum divomque voluptas» (T. Lucrezio Caro, De rerum natura, I 1).
insomma, «giunt’è la primavera, e festosetti / la salutan gli augei con lieto canto» (A. Vivaldi, La primavera, 1-2) e ci si sente rinascere. Io almeno mi sento rinascere, nell’aria chiara e tiepida. È come uno zampillo di luce e di gioia fuse insieme e «finite in un rivo canoro» (G. Pascoli, La mia sera, 18). Non so, la primavera ce la si sente addosso e nel cuore. Tutto cambia, come se si fosse varcata un’impercettibile soglia. Psicologico, certo, il senso che se ne ha e se ne trae, ma così dolce e lieto. È come se la poesia si facesse colore, odore, sapore. Si tocca, si sente, si ascolta in modo nuovo, diverso, come quando ci s’innamora e tutto assume un abito rinnovato. Un flusso vitale, ecco. E l’inverno è solo un ricordo, algido sì, ma soltanto un ricordo.
In qualche modo si era pure festeggiato, stamane, per un compleanno. Una torta verde, al pistacchio, anche se di pistacchio sembrava esserci solo il colore. Chissà, quel verde presagiva già la primavera, oggi che è il compleanno della musica, oggi che è il compleanno di J.S. Bach. Mi adagio a quel suono, racchiuso in conchiglia, dentro i nostri ventricoli del cuore. Pulsa come linfa vitale una musica arcana, lontana. In tal senso, in questo giorno così denso di significato, mi pare di scorgere Orfeo che esce dall’Ade assieme alla sua Euridice, finalmente felice. Era sceso nelle viscere della terra, nell’intimo del suo cuore. Euridice era lì ad attenderlo, in un diafano candore d’asfodelo. Lo attendeva, forse senza saperlo, e la sua poesia l’ha salvata dalla perdizione eterna. Il mito che ritrova vita in una luce nuova, perché tutto riprenda a essere come già è stato, in un ciclico ritorno. Anche Proserpina si commuove all’amore che salva e rigenera. Ecco perché mi sento anch’io Orfeo e salverò la mia Euridice.
© Federico Cinti
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La primavera è gioia e rinascita. Fa ben sperare sempre. Le tue considerazioni vanno sempre al punto. Complimenti di cuore caro Federico. Buona giornata. Isabella
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Carissima Isabella, non è un modo di dire che la primavera è una rinascita: proprio stamane, parlando con mio fratello, sentivo in lui lo spupore davanti al rigoglio della natura. Noi abbiamo il compito di descrivere questo spettacolo, questa meraviglia di cui, di anno in anno, ci è dato di gioire. In fondo, anche la poesia è una sorta di primavera dell’anima.
Ti ringrazio sempre del confronto che, in qualche modo, spinge a riflessioni ulteriori.
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