Udii un’eco. Tremarono
nell’anima i precordi. A quell’immagine
posò il tempo dimentico,
origine e crepuscolo dell’attimo.
Dell’intima vertigine
intravidi il miracolo, indicibile
nenia di luce, limpida
ebrezza oltre ogni ostacolo, ogni limite.
Breve brivido, onirico
barlume, malinconica inquietudine
in un fulmineo correre
all’indietro, in avanti, eterno vortice.
In «questo senso penoso di precarietà», tanto per citare il nono capitolo del Fu Mattia Pascal di Pirandello, Un po’ di nebbia appunto, tutto appare quanto mai confuso. Poco chiaro, insomma: diciamo pure come ci piace. Perché in fondo, e non sono certo io ad averlo ammesso per la prima volta, ogni metafora serve a descrivere il nostro incerto procedere. La nebbia mi pare proprio azzeccata, con quel suo vedere e non vedere assieme. E poi, «era un gran mare piano, / grigio, senz’onde, senza lidi, unito» (G. Pascoli, Nella nebbia, 1-3). Si brancola, ecco tutto, tra le ombre fitte. Avviene così, del resto, pure nei sogni. Non c’è nebbia, è vero, ma i diversi piani si intersecano l’uno nell’altro in una realtà sfacciata. Forse è questo il bello dell’attività onirica, perché a «colui che sognando vede», o crede di vedere, «dopo ’l sogno la passione impressa / rimane, e l’altro a la mente non riede» (Par. XXXIII 58-60).
Al di fuori di noi tutto è possibile. la visione parziale non ci permette altre valutazioni. A me almeno non le permette. Determinarci non è sempre possibile, a quanto pare, se ciò che siamo lo vedono solo gli altri. Appunto, lo vedono o credono di vedere. Anche su questo potremmo discettare all’infinito. Fingiamo pure di essere in uno stato cosciente e di veglia permanente. Non siamo mai in grado di squarciare la cortina che ci separa dall’aldilà. Intendiamoci, anche in senso meramente spaziale, se noi ci troviamo qui. Indossiamo per l’occasione la maschera che ci contraddistingue o ci omologa. Già, ma anche il volere a tutti i costi essere diversi, in verità, altro non è se non un’omologazione. Mi trovo anche a chiedermi se non sia meglio passare inosservati e basta. In fondo, che ci importa del giudizio altrui? E del nostro, eh? Del nostro che ci importa? Sempre di maschera parliamo.
Eppure, c’è qualche cosa di grande della riflessione, nell’infinito specchiarci e rispecchiarci. In questo modo si conosce e ci si conosce, anche se è doloroso. Entrare nei precordi è alle volte uno strazio. Ma questo atto titanico non può restare pura potenza. Ecco allora possibile lo spettacolo: ciò che si guarda e che si mette in scena è davanti a noi, è dentro di noi. Lo facciamo nostro, in una perpetua catarsi. Se non si capisce, si esiste senza vivere. Qualcuno lo fa e forse sta benissimo. Porsi troppe domande rischia di guastare la tranquillità tanto a lungo cercata. Era l’antica atarassia, l’imperturbabile stato di chi diviene imperturbabile. Chi ci riesce, attinge forse la felicità. Io, non so perché, mi ritrovo nel continuo vortice che ibrida sogno e realtà, fantasia e desiderio di volontà. Tendiamo all’infinito, non c’è dubbio. Guardo il cielo, l’infinita azzurrità che mi sovrasta. Non nascono da qui tutte le domande? Solo un pazzo può pensare che non vi sia un mistero che ci abbraccia e di cui facciamo parte. Chissà, se riusciamo a vederci da fuori, questo eterno tendere raggiungerà il suo porto, la sua meta. Uscirà dal vorticare infinito e raggiungerà la pace. in questa nebbia sembra difficile, ma non impossibile. Se non altro, sperare dà una certa consolazione.
© Federico Cinti
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Brancoliamo davvero nel buio, Federico carissimo, ci muoviamo a tentoni, ma sia pure fioca intravvediamo una luce alla fine del cammino o del tunnel.
Un abbraccio forte ❤️
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Hai ragione, Valeria! Per fortuna che, alla fine del tunnel, la luce c’è! Del resto, se vogliamo godere dell’arcobaleno, dobbiamo avere la pazienza di sopportare la pioggia!
La nebbia, ecco, condizione esistenziale. Per Mattia Pascal (e per Pascoli) è così. Si brancola, ma si fanno pure scoperte. L’importante è riuscire a guardarci dentro senza paura.
Un abbraccio, carissima!
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Io non ho paura di guardarmi dentro, l’ho sempre fatto e continuerò a farlo.
Buona serata Federico
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Sei veramente grande! Io ogni tanto, invece, un po’ di paura ce l’ho, ma forse perché vedo male!
Ciao e buona giornata!
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Beh non è facile guardarsi dentro. È un vedere in senso metaforico, mi dispiace tantissimo per il tuo problema alla vista.
Ti sono vicina, un abbraccio caro Federico.
Ciao e buona giornata!
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Ti faccio una confessione: non si vede con gli occhi. Una delle tante radici del vedere dà, appunto, ‘video’ in latino ed ‘eidon’ in greco, da cui viene ‘idea’. Ma guarda un po? Idea ha la radice del vedere? eppure, è immagine mentale. Nel mondo antico tutti i veggenti erano ciechi: Tiresia in primis. e poi Omero. Dov’è il problema? Quando dicevo che vedo male, è perché si fa fatica a scrutarsi dentro. Però, grazie di essermi vicina: ne ho bisogno!
Ciao e buon pomeriggio!
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Bellissimo il tuo articolo e le tue riflessioni.
Non se c’è un ‘mistero’ che ci accomuna se non quello di una nascita uguale per tutti, in qualunque luogo nasciamo, e che non è un mistero.
So anche che noi nasciamo con la speranza-certezza che esista un altro essere umano – e altri esseri umani – con i quali relazionarci, che è molto di più di una consolazione.
Il neonato lo sa da sé, ne è certo quando si aggrappa pochi istanti dopo essere nato alla mano di chi lo ha aiutato a venire al mondo e poi al seno madre, per questo è importante non deludere gli esseri umani sin da quando sono piccoli.
La ‘nebbia’ mi fa proprio pensare ai primi mesi di vita, quando non vedevamo ma sentivamo tutto. Mi fa pensare all’incertezza della vita, che non vuol dire mancanza di identità o incapacità di affrontare la realtà, ma intelligente sensibilità che ci porta a vivere non come automi che pensano di sapere tutto di tutto, che programmano anche l’attimo in cui devono respirare loro (e anche gli altri!) ma come esseri umani dotati di sensibilità, fantasia e intuito … e, quest’ultimo poi, sfugge a qualunque controllo e, pur nell’incertezza (umana) della ‘nebbia’ ci fa intravedere, e poi anche vedere sempre il sole, anche nelle situazioni più difficili.
E’ bello anche sentirti parlare dei sogni con il linguaggio dei poeti che, per me, il più vero. E’ lì, nei sogni, il ‘segreto’ e il vero pensiero degli esseri umani. Conosciuto quello – e si può imparare, con pazienza, ma questo è un altro discorso – le maschere cadono da sé.
L’incertezza rimarrà ugualmente, ma la speranza-certezza le sarà sempre amica. (non sono una psicoanalista, ma un’insegnante e amo la poesia).
Ti ho rubato un po’ di spazio in più 🙂
Ciao, grazie
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Carissima, la bellezza di questo spazio è la sua apertura agli altri, al confronto e al dialogo e nelle tue parole c’è tutto di questa dimensione. Anch’io sono docente al liceo e in questi giorni, proprio parlando di certe temi e di certi autori, mi è rimasto nel cuore questo stigma al punto di volerlo condividere con chi ha la bontà – e talvolta la pazienza – di leggermi.
Come Pascoli, credo proprio questo, che «il sogno è l’infinitaombra del vero» (“Alexandros”). La lunghezza d’onda è questa, anche perché i poeti, per dirla con Vico, hanno una disposizione intuitiva a leggere e interpretare la realtà prescientifica, ma non meno vera. Quando mi trovo a rileggere il mito di Atteone nel II delle “Metamorfosi” ovidiane ci rivedo Galileo, ma anche tanta scienza odierna.
Insomma, dobbiamo passare attraverso questo filtro per recuperare l’umanità di cui parli e che non è perduta. Chissà, forse si è solo un po’ nascosta nelle pieghe dell’essere per essere, appunto, riscoperta.
Se torniamo veramente all’ingenuità del bambino appena nato, chissà… forse troveremo e ritroveremo veramente noi stessi.
Ti ringrazio di cuore delle tue parole!
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❤ E io ringrazio te per quello che scrivi … e per come lo scrivi. Ciao!
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È sempre bello leggerti. Ciao Federico 🙂
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Sempre troppo buona, EMyly carissima!
Ti ringrazio di cuore…
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Versi molto belli.
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Grazie veramente di cuore: ne sono molto lieto!
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