Pensiero a un amico

 

Alba di perla pallida, il pensiero

disegna sogni nuovi. Nei precordi

cupo il rimbombo assiduo del mistero.

 

Inizio e fine, il ciclo dei ricordi

chiude e riapre. In fondo scorre il fiume,

eco lontana di mille echi sordi.

 

Ride un raggio. Nel labile barlume

ombre non viste mai, qualche rovina

nuda tra le macerie, tra le brume.

 

Esule in terra, l’anima sconfina

memore di che fu. Nulla dintorno,

non altro oltre la fragile mattina.

 

Arcana vanità, solo il ritorno

tenue di ciò che dicono sepolto,

un tempo senza età, l’orma d’un giorno

 

mirabile, il sorridere d’un volto.

 

 

Rito d’un giorno eterno che ritorna, nel tempo che in fondo altro non è se non memoria. Inutile volgersi avanti, ovviamente, se non ci si volge indietro. Perché conoscere è riconoscere. Triti pensieri, certo, già detti e già sentiti; eppure, come il sole, si riaffacciano prepotenti, memorie di memorie. sul piccolo nostro segmento l’idea della retta infinita, del prima e del poi. Si torna sempre a quel presente che non c’è, fuggitivo nel riso beffardo di quei soles che occidere et redire possunt (Catullo, carm. V 4). Mi sento il don Camillo che cammina all’infinito sul cerchio e se la prende con i numeri (G. Guareschi, Le lampade e la luce). Disegni della mente, non credo siano più che questo, un fatto di linguaggio, per non dire di rappresentazione. Un punto, ecco che cos’è, soltanto un punto che vaga. E noi lo seguiamo, come s’insegue tutto ciò che si desidera, ma non si può afferrare.

Ora, perché nel giorno del compleanno di Cicerone, questo benedetto 3 gennaio, io mi metta a parlare di qualche cosa che non esiste, il tempo esattamente, proprio non lo so. ne parlo, tutto qui, come di certe nostre fantasticherie sull’orlo del giorno, quando un filo di sole pare un miracolo dopo le tenebre d’una notte intera. Sogno anche quello, forse, anche quel raggio multiforme. Chissà, forse il volto di quel Marco Tullio che tanta parte ebbe dal ginnasio in poi nel mio breve torno d’anni. Ha qualche cosa in sé che altri non hanno. Lo leggo e lo rileggo, ma non arrivo mai al fondo, sempre che ci si possa arrivare. Si affermerà pure di tanti altri, ma Cicerone… ecco, Cicerone ha un quid pluris inarrivabile.  

Non so quante volte l’ho ripetuto al mio amico Ingegnere. Lui inclina verso altri ricordi, verso altri lidi memoriali: ognuno ha le proprie derive è inevitabile. Anche questo è divenuto rito. Oggi verrà ad limina, così da inaugurare l’anno nuovo. Io ricorderò dei miei, lui dei suoi. La sua sarà una concione in piena regola, il mio un tinnulo sorridere di bimbo. Eppure, i due avvenimenti sono in qualche modo collegati, stretti da un filo che oserei chiamare logico. Alle volte, per uno strano gioco combinatorio, ci si trova complementari, nel solito similes cum similibus facillime congregantur.

«Non poteva che essere così», tuonerà veemente, col suo piglio oratorio.

«Non poteva, di certo, non poteva», gli farò eco io, come già tante altre volte, appoggiandomi sullo schienale a guardare in alto.

«Nei corsi e nei ricorsi storici», chioserà vichianamente, «il senso si attua solo nel ciclico ritorno». Lo fisserò incredulo, pensando più a Nietzsche che al povero secentista napoletano. Eppure, le fusioni mi piacciono, anche se non azzarderò l’aggiunta del tassello virgiliano della IV Ecloga.

«Non credi che, se posto su assi cartesiani, questo strano geoide», continuerà mimando con le mani una sfera imperfetta, «assumerebbe la valenza paradigmatica di un corpuscolo metamorfico in perenne movimento su se stesso e attorno all’universo intero?», per chiudere nel compiacimento d’un sorriso.

«È ovvio che io lo creda», lo rassicurerò, pur vedendo davanti a me solo un foglietto bianco con una croce macchiata da una goccia di caffè. Anche perché, il motivo vero per cui viene con Elena, la pazientissima moglie, è poi collaudare la nuova moca, presa nel negozietto di fiducia sotto casa pietendo un po’ di sconto.

 

 

 

Con la tazzina in mano penserò al buon Cicerone, senza farne parola con nessuno. Anch’egli, come è noto, vagò per gli spazi siderali, se è suo il somnium Scipionis. Per me non lo è: non è il suo stile. Provai a suggerirlo anche a una collega, un giorno, e mi rispose risentita: «Ah, no, anche questo adesso!». Ecco, impossibile pensare da soli, al di là di quel che libri compilati da qualche ignoto estensore propalano agli ignari banditori del sapere. Sì, così, io penserò a Cicerone, mentre si consumerà qualche fetta di crostata o la torta di riso, cui anche io – non so come – ho collaborato a realizzare. Mi resterà, come già mi restò, davanti agli occhi il volto di quel genio della parola. Chissà, un inconsapevole gioco di specchi in cui l’uno è nel tutto e tutto nell’uno.

 

 

 

© Federico Cinti

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4 commenti

  1. Ciao Federico, ho letto tutto l’interessante post, poi sono tornata, e ritornata, alla splendida poesia: “Alba di perla pallida, il pensiero disegna sogni nuovi ….” e così ti auguro un buon 2023, profumato di buon caffè!

    Piace a 1 persona

    1. Federico Cinti ha detto:

      Ieri mattina mi sono svegliato proprio così, in un’alba di perla pallida. Fa un po’ strano citarsi, ma è pure vero che adesso io sono un lettore come gli altri. Era il giorno di Cicerone, certo: anche nell’acrostico avevo scritto «ad Ciceronem natum». eppure, attendevo il momento del caffè, quello con l’Ingegnere ed elena sua moglie. Solo nel pomeriggio, lo sapevo. Al tavolo da quattro eravamo noi, assieme alla mia mamma. Il tempo s’è annullato: avviene così, quando si è tra amici. ecco, auguro a me, ma sicuramente pure a te, un anno tale. E il caffè, che cos’è il caffè! Direi quasi un modo di essere.
      T’abbraccio, caissima, e ti ringrazio di cuore!

      Piace a 1 persona

    1. Federico Cinti ha detto:

      Ma grazie di cuore sempre a te, carissima!

      Piace a 1 persona

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