San Lorenzo, brillasti nel mondo
di luce, la luce che adesso
arde e cade dal cielo profondo,
lassù, in un tuo tenue riflesso.
Eri diacono a Roma: il Signore
ti scelse come umile servo
a donare con gioia il tuo cuore
al mondo insensato, protervo.
Ai tuoi poveri desti ogni cosa
con anima lieta, arricchita;
alla Chiesa, l’autentica sposa
del Figlio, donasti la vita.
Tu vivesti nel nome di Cristo
spargendo il tuo sangue prezioso,
e seguisti la sorte di Sisto
nel santo martirio glorioso.
Tu sapevi che questo tragitto
mortale è la via del Vangelo:
il tuo nome in tal modo fu scritto
con quello di Cristo nel cielo.
San Lorenzo, ogni stella è un tuo dono
di pace, un tuo dono speciale
a chi spera, a chi chiede perdono
nel mondo mai vinto dal male.
Non passa anno in cui il 10 agosto, immancabilmente, non si ricordi il fenomeno astrale delle stelle cadenti e in cui non ritornino alla memoria, come un antico ritornello, gli struggenti versi di Giovanni Pascoli: il poeta di San Mauro dedica, infatti, a tale ricorrenza una delle sue più famose Elegie, intitolata appunto X agosto. Sulla valenza simbolica del numero romano del titolo mi sono già lungamente profuso nel mio commento a Myricae (Rusconi, Rimini 2018), cui rimando e su cui non mi profonderò qui, anche perché non vorrei annoiare troppo.
Quest’oggi, nel celebrare una ricorrenza così particolare, ho dedicato qualche verso proprio a San Lorenzo martire, riprendendo il metro pascoliano, una sorta di distico elegiaco – diciamo così – formato da un decasillabo e da un novenario. In particolare, ho cercato di eliminare la barriera consonantica del terzo verso di ogni strofa, come nell’originale, onde creare una sorta di episinalefe. Dettagli tecnici poco importanti, ovviamente, ma che servono a dare l’idea della cura con cui questo mio piccolo omaggio è stato condotto. Ho ripreso anche la dittologia «arde e cade» (v. 3), tra l’altro nella stessa posizione di X agosto, anche se devo ammettere che essa era una tessera tolta da una canzone di Giovanni della Casa, Rime, XXXI, 11: «per lo sereno ciel arde e sfavilla». La poesia è comunque sempre un gioco di specchi, di continue allusioni e citazioni.
Nulla di nuovo sotto il sole, ovviamente, solo un senso di lontana, pacata nostalgia a considerare il nostro piccolo «atomo opaco del male» (G. Pascoli, X agosto, 24). Eppure, proprio san Lorenzo, in questo giorno, testimoniò con la vita la propria fede contro la malvagità degli uomini, proprio come la «rondine» e l’«uomo» di cui ci parla Pascoli. Tutto si tiene in quella struttura chiastica che si trasforma in croce celeste di condanna e redenzione. Anche la poesia ci spinge a guardare in alto, in un moto verticale, a «quel cielo lontano» (G. Pascoli, X agosto, 10). Ecco, allora, veramente si sapeva che cosa fosse quel pianto in figura «di stelle per l’aria tranquilla» (G. Pascoli, X agosto, 2).
© Federico Cinti
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