Ti ricordi quel piovere?
Anche ieri pioveva. In quel prodigio
la tua presenza eterea,
così consolatrice, così unica.
Un alone di grazia
ti circondava, simile a una nebbia
aurea. Un sorriso tenue
dietro quel velo timido, impalpabile.
Dopo, un pallido raggio,
filo sull’infinito a cui appendersi
ancora per non perdersi
mai più, rosa dolcissima di maggio.
Ha un che di malinconico la pioggia. Non so perché, ma ne avverto tutto il fascino, come se mi si impregnasse nell’anima. Chissà, anche a te piace, memoria ancestrale di un giorno lontano. Anche a te dico, piccola rosa di maggio, dal soave profumo inafferrabile. Mi sento addosso il suo fascino, un’ebbrezza estatica, come il sorriso del crepuscolo che muore, come canta il poeta «M’è lontano dalle ricciute chiome, quanto il sole; sì, ma mi giunge al cuore, / come il sole: bello, ma bello come / sole che muore» (G. Pascoli, solon, 49-53).
Ecco, forse è quel senso di precarietà a renderla così suggestiva, così fuggevole, proprio come la tua bellezza effimera, rosa, sempre sul punto di sfiorire. Vana consapevolezza, questa, di camminare su una sottile ombra, in bilico tra il tutto e il nulla.
Era madreperla il cielo pure quel giorno, anche se tu non ricorderai, quel giorno in cui ti vidi per la prima volta. Pioveva. Sembrava non dovesse finire mai. Noi lì sotto ad attendere, sotto un piccolo ombrello in attesa dell’asciutto. E pioveva anche quando ti ho rivisto, eterno fiore di maggio, quando spandevi il tuo soave profumo tutto intorno, pochi giorni or sono.
Hai un che di malinconico, sai, rosa? Non a caso ti studiamo declinare a poco a poco, fin da ragazzi, quando impariamo a parlare una lingua immortale, la tua lingua. Perché in te, lo sappiamo, c’è la bellezza vera, rosa di maggio, rosa che non dici se non la verità delle cose e di noi: «rosa della grammatica latina / che forse odori ancor nel mio pensiero / tu sei come l’immagine del vero / alterata dal vetro che s’incrina» (M. Moretti, Elogio di una rosa, 1-4). Ti ho cercata, senza mai smettere di sperare, e infine ti ho trovata. Tu sei così speciale. Non so dirti il perché: non c’è un perché. La tua essenza è la bellezza nella caducità. Forse questo è l’amore, è l’attimo che si fa eterno, mentre distilla l’anima tra il fluire che diluvia e salva.
Ora che ti ho trovato, rosa, credimi, non ti lascio più.
© Federico Cinti
Tutti i diritti riservati