Come non so. Di questo giugno diafano
ho avvertito in me il tacito trascorrere.
Infinito il sollievo
a tante nostre chiacchiere.
Ricordi, nulla più, l’inesprimibile
attesa che si sfa nell’indicibile.
Viso azzurro, sorriso,
nel cuore l’insondabile.
Vuoti i corridoi, le aule, anche il cortile: forse la scuola è pure questo, un vacuo simulacro in cui ricercare ciò che siamo stati, se mai lo siamo stati. Fa un certo effetto, lo confesso. A me stamane lo ha fatto, almeno. A fine primavera è così, quando il famoso «giugno ci ristora / di luce e di calor» (G. Carducci, Pianto antico, 7-8). Qualche cosa aleggia, «resta / quel nulla / d’inesauribile segreto» (G. Ungaretti, >Il porto sepolto, 5-7). È la poesia, null’altro, pure se non la si cerca né la si vuole. È nell’aria, nelle cose, in noi.
Anche un caffè può essere poesia. stamattina è successo. Ogni tanto ci si concede una pausa da tutto e si ritorna in quell’oasi in cui il tempo si ferma e distilla a goccia a goccia. Non è in sé, ovviamente, la bevanda, bensì il rito. Lo sappiamo: da anni si celebra. Non se ne può fare a meno. Io almeno non posso farne a meno. A quanto pare non solo io. Chiara mi viene a salutare, nonostante i molteplici impegni, oggi più di allora. Anche quella scuola fu sua. Chissà com’è rientrarci dopo tanti anni. Un pezzo di vita non si scorda facilmente. Diciamo che si elabora, si sublima, un po’ come il caffè che si gusta in bocca a lungo, come un piacere che si sfa a poco a poco, simile al profumo dei fiori nell’aria.
Si parla, tutto qui, di quel che si fa e di quel che non si fa, delle contingenze e delle urgenze. Alla fine, si cade sempre sull’atto puro della scrittura. Non siamo ancora riusciti a determinare in modo credibile che cosa generi la creazione attraverso le parole. Anche quello, in fondo, è un cambio di stato, è un «trasumanar […] per verba» (Par. I 70). Stamane sostenevo la possibilità di pensare per scrivere, ma di scrivere senza pensare, quasi che di per sé la creazione poetica sia il pensiero in azione. Non so, la visceralità che crea, senza ovviamente generare. Anche Chiara ha convenuto, pur riconoscendo la necessità di approfondire il discorso. Già, come se fosse facile. Ma è pure necessario porsi la domanda.
Noi ce la siamo posti, come tante altre volte, come tante altre domande. Anche noi forse eravamo come i fiori che profumavano il tempo di idee, sempre ammesso il tempo esista veramente anche al di fuori di noi. No, di questo non si è parlato. In verità non mi è venuto in mente, ma fa lo stesso. Non possiamo racchiudere in un caffè lo scibile e l’inconoscibile. Qualche argomento di riserva è bene tenerlo da qui all’eternità, quando forse potremo parlare con più cognizione di causa del trascorrere rapido dei giorni che, poi, forse non trascorreranno più. E i fiori profumeranno per sempre delle nostre parole così vane, ma così necessarie al caffè che ci ospita nel suo mondo.
© Federico Cinti
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