Figlia del sole, nacqui nel suo giorno;
strali dorati, trama del mio trono,
la mia corona, intreccio di splendore,
la mia dimora, luce nella luce,
al cui tramonto anch’io cadrò nel buio.
Poesia liberamente tratta, ma poi nemmeno troppo, dai Winterlieder, i Canti d’inverno, di un’eccezionale autrice, l’imperatrice più famosa – e meno conosciuta – d’Austria, Sisi. Ha quasi cinquant’anni (siamo infatti nell’ottobre del 1887) quando, ironizzando sul giorno in cui è nata, il giorno del sole, in tedesco Sonntag, vede dall’esterno la sua sorte e il suo destino. Ricorda quel lontano e felice 24 dicembre 1837, quella domenica in cui l’astro più lucente, nel suo giorno, aveva rivolto i suoi strali d’oro sul suo trono, quando lo splendore le aveva intrecciato una corona inestricabile sul capo, quando la luce era divenuta dimora eterna della sua vita. e dire che in Baviera nascere la domenica, e per di più con un dente già spuntato, come era successo a lei, era considerato segno d’elezione. Nulla era per lei la fama, nulla la gloria dell’ostro e del manto: tutto era attesa del tramonto di quel fulgore in cui anch’ella si sarebbe eclissata per sempre dalla scena di questo mondo, senza far rumore.
Questo l’originale, questi i versi di Sisi:
Ich bin ein Sonntagskind, ein Kind der Sonne;
Die goldnen Strahlen wand sie mir zum Throne,
Mit ihrem Glanze flocht sie meine Krone,
In ihrem Lichte ist es, dass ich wohne,
Doch wenn sie je mir schwindet, muss ich sterben.
Nel suo Poetische Tagebuch, il suo Diario poetico, Sisi riflette, quasi si mettesse allo specchio, la vera essenza di quella luce, di quel sole di cui ella è figlia. Era soltanto un sogno la leggenda della sua vita che con scrupolo aveva contribuito a costruire, l’incomparabile bellezza regale di cui era circonfusa per grazia naturale, le trecce dorate di lunghissimi capelli che le incorniciavano il capo e l’esile figura, la gabbia d’oro della corte austriaca in cui era stata rinchiusa per amore e per forza fin da quella lontana domenica 19 agosto 1853, quando si era fidanzata con l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo Lorena e aveva cominciato a ripetersi: «Se solo non fosse imperatore».
Poesia, solo poesia. nulla le resta se non il rimpianto di quella vita, se non il desiderio di liberarsi e librarsi, simile a Titania, la regina shakespeariana delle fate da lei tanto amata, simile al gabbiano che non ha patria, che non ha confini. In alto, lontano, oltre le convenzioni di un mondo che non le appartiene, che non le è mai appartenuto. Questo sarebbe stato essere vera figlia della domenica, di un giorno senza tramonto, perché tutto del sole. Di lei lascia immagini e ritratti, di lei lascia versi e parole di un diario fuori del tempo, come un cuore allagato d’infinito. E così vola ancora quel gabbiano, senza che alcuno possa raggiungerlo, senza che alcuno possa ingabbiarlo, nemmeno il sole.
© Federico Cinti
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