Ancora e ancora, azzurrità delle onde,
tu non fai che legarmi alla tua spiaggia,
io lo conosco, lo conosco bene
lo zaffiro traslucido delle acque.
Simile all’Adriatico, che è azzurro,
il colore più bello t’ingioiella,
ad alzare lo sguardo verso il cielo,
ad abbassarlo, a me pare lo stesso.
E ancora svegli in me lo struggimento
per il mio amato, il mio diletto mare,
vorrei migrare via, simile ai cigni,
da queste rocce, via da queste cime.
Ma trattienilo tu, impetuoso cuore,
lo strazio atroce dello struggimento,
aspetta che l’autunno a pennellate
stenda rossi vessilli in boschi e valli.
E dillo tu all’azzurrità delle onde
nel separarsi un’altra volta: «Addio»,
salutameli tutti questi luoghi
amati intorno all’Attersee azzurro.
Coaguli di vivido colore, nei giorni d’un autunno che sapeva d’estate e di rimpianto, tanto simile a quello che si vive adesso tra le foglie accartocciate. L’azzurro intenso del mare, lo scintillare del verde che a un tratto si fa rosso, vessillo di un tempo in perenne metamorfosi. volgersi indietro forse non è lecito, in quello struggimento che diviene desiderio incolmabile di un desiderio irrealizzabile. Sulle alpi, tra i laghi austriaci, nel Salzkammergut, mentre i cigni vanno in cerca di luoghi più adatti a svernare, il cuore di chi scrive e di chi legge raggela al vento pallido d’una stagione che ha mutato d’abito. Un volo eterno della fantasia in una dimensione in cui nulla è più tangibile o raggiungibile, lassù, lassù, tra «due sole / nuvole tenui, rose, / due bianche spennellate // per tutto il ciel turchino» (G. Pascoli, Patria, 9-12). È il sogno dell’estate a ritornare prepotente.
Vagava sola, dimentica di tutto e da tutti dimenticata, l’imperatrice Elisabetta, alla ricerca d’un senso. E il paesaggio si tramuta nello specchio della sua anima, d’ogni anima che la legge o la rilegge, pure in traduzione, come nel caso di questo mio testo, in cui al canto dell’autrice s’aggiunge e s’adatta il controcanto di chi rende un modo d’essere in una sintonia divenuta sintonia. La poesia modula canti di giorni senza fine, di ricordi traslucidi nel solare. Su tutto è un velo impalpabile. Le parole, le immagini, i pensieri sono come «le foglie levi» persesi nel vento in cui «si perdea la sentenza di sibilla» (Par. XXXIII 65-66). Ecco la voce che non ha confini, eco di un’eco oltre i secoli.
Era il non omnis moriar d’oraziana memoria (carm. III 30, 6) a risuonare nei colori dell’anima. Ci si adagia in una contemplazione infinita, in una sospensione tra cielo e terra. ‘autunno sogna ciò che non c’è più e che non c’è ancora. nei versi d’una traduzione si rincorrono significanti e significati separati e complementari. Un filo ci conduce nel labirinto letterario. Nulla si dà mai per caso: tutto riemerge, a un tratto, come un fiume carsico all’aria diafana di un giorno senza età. ed Elisabetta è ancora qui, a parlarci di sé, del suo mondo interiore, delle sue malinconie. Forse è vero che nessuno mai l’ha conosciuta come possiamo conoscerla noi nello specchio delle sue carte, potere eternatore di un linguaggio universale nascostosi tra i ventricoli del cuore.
Per i cultori della lingua tedesca e, come è giusto che sia, per tutti coloro che desiderano ascoltare il suadente suono dell’originale, riporto il testo di Sisi, intitolato An den Attersee:
Immer wieder, blaue Wellen,
Lockt ihr mich an euren Strand,
Scheinen doch die saphirhellen
Wasser mir so wohlbekannt.
Wie die Adria, die blaue,
Schmückt die schönste Farbe euch,
Ob ich auf zum Himmel schaue,
Ob hinab, es dünkt mir gleich.
Und von neuem weckt das Sehnen
Ihr nach der geliebten See,
Möchte zieh’n, gleich Wanderschwänen,
Weit von dieser Felsenhöh’.
Züg’le noch, du ungestümes
Herz, die wilde Sehnsuchtsqual,
Warte, bis mit roten Bannern
Streift der Herbst durch Wald und Thal!
Sage dann den blauen Wellen
Scheidend noch einmal «ade»,
Grüssend all’ die lieben Stellen
An dem blauen Attersee.
© Federico Cinti
Tutti i diritti riservati