Mi presento

 

Non in gara, il migliore. Tutto sento,
tutto intuisco e so. Non faccio vanto
d’essere senza pari. A lume spento,
senza rimorso mai, senza rimpianto,

 

nell’ombra, pur presente ogni momento,
so tergere ogni lacrima di pianto.
Sorrido con chi ride, poco attento
a chi mi schiva. Già qui in terra santo,

 

attendo sempre quello che non dico.
Commento con maestria qualsiasi testo
d’oggi, di ieri, del buon tempo antico.

 

Vate esimio, sensibile, mai mesto,
dall’amabile nome, Federico.
Ah, scordavo: sono anche il più modesto.

 

 

Inizio così, con un autoritratto, il mio ovviamente, tanto per presentarmi, sottoforma di sonetto. Non credo vada più tanto di moda e questo è motivo più che sufficiente per scegliere questo insolito abbrivio. Ironico, va da sé, ma già a sottolinearlo mi pare di fare ironia sull’ironia, quasi io mettessi uno specchio allo specchio. Ossessioni, lo so, ma che ci posso fare? Posso scrivere di ciò che sono per sperare di cogliere quel che non sono. Se mi separo dalla maschera, come Pirandello vorrebbe, potrei tuffarmi nella vita. ecco, questo blog è il mio specchio davanti a cui togliere, per un attimo o poco più, la mia maschera d’imbarazzo.

In questa pagina di presentazione voglio mostrare quello che sono e quello che non sono. Chi poi avrà voglia, come spero e mi auguro, di seguirmi, potrà valutare la mia «nobilitate», per dirla con il buon Dante. Perché «qui si parrà» (Inf. II 9), sempre ammesso io ne possieda un briciolo. Il vaglio critico mi gioverà, proprio perché sarò al di là (o al di qua?) di quella soglia invisibile chiamata coscienza. Pensare per scrivere è inevitabile, ma scrivere senza pensare è auspicabile. Diversamente sarebbe l’ennesimo strumento razionale, logico. Da un po’ di tempo in qua, invece, prediligo la dimensione analogica o, per esagerare, alogica.

Amo la poesia. Questo forse potrebbe pure bastare in un’epoca, «la presente / e viva» (G. Leopardi, L’infinito, 12-13), di tanti poeti. Io me ne resto qui, nella mia nicchia, dove non è più Bologna e non è ancora Casalecchio, alla Croce. Un luogo unico, il mio, in cui tutto è sempre possibile, tra il fiume Reno e il lento declinare dei colli adagiati sull’orizzonte. Questo, almeno, appare dalla mia finestra volta a occidente dove la sera il sole allaga di porpora e oro l’azzurro intenso che scolora. Amo la poesia, certo, e l’amerei pure di più, se non fossi assediato dagli impegni della didattica e della ricerca. Ma pure questo è frutto di quella creatività del fare poietico.

A proposito, quasi dimenticavo, ma il mio nome è Federico. Non ci sarebbe bisogno di sottolinearlo, ma è meglio non lasciare nulla al caso, sempre che esista il caso. Perché altrimenti sarei qui a parlare di me? Vanagloria o narcisismo? Forse entrambe le cose. Eppure, anche il bisogno di non sentirsi soli aiuta la mia sete di essere trovato. Già, trovato per caso, forse anche solo perché il mio nome è Federico. «E vi pare poco?», come avrebbe detto il più famoso Mattia Pascal. Eppure, no: va bene così. Per il momento, basta questo: mi chiamo Federico.

 

 

© Federico Cinti

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