Luce fioca, sul margine l’azzurro
ultimo tra le case. Tra le cose
corre sommesso un fragile sussurro.
Attesa vana. Il tempo ormai si mostra
breve. Sparsi qua e là sogni di rose,
ombre d’antichi giorni in questa nostra
nebbia di latte in cui vagare. Solo
adesso il senso, incerta nostalgia.
Fu nel cuore un sussulto, un arduo volo
e il proseguire ancora per la via.
Era il giorno dei morti, il 2 novembre. Eppure, caso strano, conosco molte persone nate in questa data per i più nefasta. Intendiamoci, nefasta solo perché si pensa a chi non c’è più e quindi viene a mente un tempo trascorso e mai più presente. Niente di che, si fa per dire. Di solito, mi ricordo di fare gli auguri, in particolare a uno, a Luca, immerso nelle nebbie d’Oltremanica. Già, la famosa «nebbia di latte» (G. Pascoli, L’assiuolo, 10), che poi riprende pure la «nebbia mattutina» oltreché al «crisantemo, il fiore della morte» (G. Pascoli, I gattici, 3 e 14). Sì, certo, mi perdonerà le ubbie pascoliane, ma che ci posso fare? Del resto, uno studio particolare sul sonetto pascoliano prima o poi dovrò farlo: ci penso da tanto, ormai. È il tempo che manca. Ma stiamo al mio amico.
Ogni anno, dicevo, colgo l’occasione, potrei dire il kairòs, per dedicargli qualche cosa. Abitudine vana, oggi, in cui tutto scivola nel chronos infinito. Ma mi sento, e non a caso, uomo d’altri tempi, un superstite, una sorta di naufrago alla stregua dell’Ungaretti dell’Allegria. Anche in questo caso si fa per dire. All’inizio di novembre non mi viene nulla di meglio. Sarà un difetto, questo. Lo confesso senza tema di smentita. Mi si deve prendere come sono. E sono proprio così. Non so nemmeno perché, dovendo parlare di altri, parlo poi solo di me. Deformazione professionale: chi scrive parla sempre e solo di sé. Vexatissima quaestio, naturalmente, ma ci sta che si faccia ancora finta che non sia così.
Insomma, credo Luca sia ancora lì che aspetti che io dica qualche cosa di lui. Mi perdonerà, come tante altre volte. È il suo giorno, sì, anche se in ritardo. Un ritardo mio, certo, ma perché non sono stato benissimo. Dopo la presentazione di sabato scorso lo scioglimento della tensione, l’emozione, il freddo mi hanno distrutto. Ecco, il 2 novembre ero mezzo morto anch’io. Un bel risultato, certo. Ero così, sul crinale, a connessione intermittente. Mi perdonerà. Del resto, anch’egli è come me «tra color che son sospesi» (Inf. II 52), per dirla con l’amico Dante. Restiamo così, come la luce fioca di un lampione a illuminare una porzione d’ombra. Già, perché il buio non esiste, come dice Pirandello. Esiste solo se noi lo illuminiamo.
© Federico Cinti
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