Fragile nel pallore meridiano
rimane il sole, attonita parvenza
al confine sul margine lontano,
nella sua vacuità presente assenza.
Canto antico di sogno, reverenza
estatica nel blu, riflesso vano,
scuotono il cielo le cicale senza
chiederne più il perché, sempre più piano.
Opaca sonnolenza sulla sponda
piatta del cuore, sembra fermo il giorno
in un attimo eterno che dilegua.
Eppure, il tempo incalza senza tregua,
rincorre ciò che fu, dolce ritorno
in una ricorrenza, onda dopo onda.
A Francesco, un amico carissimo. So che non fa d’uopo indugiare su certi particolari, e infatti non mi ci soffermerò troppo; eppure, oggi non posso fare a meno di dedicargli qualche verso. Nulla di che, intendiamoci, un acquerello a tenui tinte. Anche a lui credo basti questo. So che gli fa piacere, almeno auguro. Anzi, glielo auguro: un augurio non si nega a nessuno, soprattutto in determinate ricorrenze. La ciclicità del tempo s’innesta sulla linearità della storia, alfa e omega in un eterno ritorno. Tutto qui. Chissà, forse è al mare: di solito ne aveva l’abitudine in questo suo giorno. Va da sé che qualche cosa si è incrinato.
Ecco, a Francesco oggi dedico questi versi. Mi piace non lasciare nulla al caso, anche perché mi convinco sempre più che non esista. Ci sforziamo a dimostrare che una mente ordinatrice non c’è; eppure, nulla è più vero di questo. La dissacrazione del pensiero potremmo definirla, con Virgilio, una prisca fraus, un segno di cui si deve prendere coscienza; altrimenti, il redde rationem rischia di essere molto rischioso. Perché, ammettiamolo una buona volta, fingiamo di essere autosufficienti, senza poterlo essere. Ricordo quel che Dante dice a Cavalcante: «Da me stesso non vegno». Che poi altro non è se non il giovanneo «a me ipso non veni» (Gv 7,28). Ecco, se non comprendiamo questo, scivoliamo nel «vanitas vanitatum».
Chissà poi perché questi discorsi, oggi, in cui dovrei solo dedicare a Francesco qualche verso in questa ricorrenza. In ogni caso, come ho potuto e saputo, l’ho fatto. E mi auguro, e gli auguro, di esserne sodisfatto. Alla riva di questo mare abbandono la mia amicizia, come «onda dopo onda», tanto per citarmi, come se tutto fosse già scritto. Insomma, nulla di più che un eterno «panta rhei».
© Federico Cinti
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