Ritratto matematico di donna

 

Rincorse senza fine. Fugge l’ora

nell’oblio. Il quadrante cartesiano

ha lancette impazzite. Nulla sfiora

la quiete matematica. Lontano

 

quello che dentro il cuore non si sfiora.

Tutto è compiuto: ogni discorso è vano

nella vita a teoremi. Trascolora

l’universo, scomparso a mano a mano,

 

sulla strada. Tra raggi e bisettrici,

circonferenze doppie sulla via,

il frusciare continuo di una bici.

 

Si alimenta così la fantasia

nell’anima: è così che si è felici.

Lo mostra inossidabile Maria.

 

 

Non mi dilungherò troppo sugli auguri a Maria, che oggi compie gli anni. Il suo ritratto l’ho preso da un mio libretto, scritto per la fine della mia quinta liceo scientifico di quest’anno, intitolato Saluti elementari. Ho poi aggiunto pure il consiglio di classe. Naturalmente insegna matematica e fisica, soprattutto matematica direi, ma ognuno ha i propri gusti e le proprie passioni. Insomma, che altro dirle? Auguri mi pareva poco, ma un ritratto è più che adeguato, il mio ritratto suo.

Mi pare d’aver detto tutto. Ecco, potrei aggiungere la bici. Sì, l’ho detto, ma va al di là di quel che si può credere. Se sarà il caso, amplificherò il concetto come mi è dato. Oggi è pur sempre poco più della metà di luglio. Naturalmente l’ironia fa sfondo a quel che scrivo: il più sta nel riconoscerla. 

Insomma, Maria, auguri.

 

 

© Federico Cinti

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Carlotta, auguri!

 

Un sollievo dell’anima, parola

che non muore nell’eco d’un sospiro

breve. Nell’ansia cupa della scuola

uno sguardo di pace, come giro

 

di un valzer che travolge, eterna mola

che macina ogni cosa nel respiro

del tempo, nell’oblio che non consola

la memoria. Tra il lucido zaffiro

 

del cielo a pezzi oltre le case intorno,

oltre i vetri, sui banchi un po’ in dissesto,

l’ora che porta via con sé ogni giorno,

 

il sorriso dell’essere, del gesto

inconsueto, ma dolce nel ritorno

fugace di un’idea. Carlotta è questo.

 

 

Di Carlotta tutto è stato scritto nel sonetto. Non mi profonderò in altri particolari, come forse ella avrebbe desiderato. Erano anni che mi chiedeva un ritratto. Ho ceduto, alla fine, solo perché terminava il liceo, perché dopo la maturità non avrei più sentito quella sua suadentissima voce. Anche perché, questo non lo si può tacere, parla a getto continuo. Non che sia spiacevole, intendiamoci; il fatto è che ogni tanto ci si chiede dove sia il tasto di spegnimento. Per il resto, nulla da aggiungere. Io almeno non aggiungo nulla; poi forse altri potrebbero dire di più e meglio di me, dato che io ne ho una conoscenza che risente del mio particolare angolo prospettico. La paragonavo alle acque della «fonte di Bandusia» di oraziana memoria: so che a lei fa piacere quando scantono per i laterali sentieri della letteratura latina. Certo, anche sulla letteratura tout-Court, ma per quella latina ha un debole. Insomma, quelle loquaces linpahe (carm. III, 13, 15-16) sono come gli zampilli che gorgogliano dalle sue labbra, «acque chiacchierine» come qualcuno ama tradurre.

Ormai ha finito il liceo: diventare centenari ha i suoi pro e i suoi contra. Mi pare che l’abbia presa bene, come una sorta di festa in perenne svolgimento. La vita in fondo va presa così, per quello che è. Il suo, di Carlotta naturalmente, è il modo giusto, serio, ma non serioso. Mancherà qualche cosa adesso al «Leonardo», che tutti si ostinano a chiamare barbaramente «da Vinci». Segno dei tempi, temo. Peccato che il nostro beneamato Comune non abbia una personalità di rilievo scientifico cui dedicare il liceo cittadino. Ovvieremmo almeno allo scempio del nome. Ecco, magari qualche mio studente o studentessa meritevole prima o poi si troverà. Peccato che Carlotta abbia tutt’altri progetti. Il più sarebbe capire quali, ma magari lo racconteremo poi, quando si saranno sciolte le riserve.

Per il momento mi accontenterei di un caffè: lei ne è una notevole estimatrice, soprattutto nelle mie ore. Mi auguro che non dipenda dal fatto che sia colpa mia, ma è sincera, molto sincera, e non me lo ha mai confessato apertamente. O forse non l’ho mai sentito io, tutto preso come sono di solito a seguire i miei autori. Mi sembra d’essere sempre in ottima compagnia, quando leggo poeti e romanzieri, ma non capisco se i miei studenti condividano questa mia insana passione. Carlotta mi ha dato raramente ragione e sono stati momenti di notevole ascesa lirica.

Oggi tuttavia è il suo compleanno e io mi sento l’obbligo di farle gli auguri. Non le ho scritto un testo ex novo, come faccio solitamente; piuttosto, ho preso quello che le avevo dedicato per la fine della scuola, in un mio libretto intitolato Saluti elementari, perché avevo associato a ogni studente un elemento della tavola periodica. A lei avevo associato il mercurio. Non me ne ha mai chiesto il motivo e io ne ho scordato le ragioni. Chissà, prima o poi mi tornerà in mente. Ora è il tempo degli auguri, non delle divagazioni da officina delle Muse, e allora auguri siano, Carlottina.

 

 

© Federico Cinti

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Auguri a Novello

 

Nel cielo aria di festa, ali sospese,

Ombre di sogno labili in cui il cuore

Veglia tra mille, indefinite attese,

E riscopre la vita, antico fiore

 

Lasciato lungo il ciglio, a metà mese,

La metà esatta, a luglio, in un chiarore

Opalescente, lievi voci arrese,

Buoni dolci propositi, sapore

 

Amico, tempo che oggi fa ritorno.

Lo sai, lo so, Novello, due parole,

Due o poco più, per fare da contorno,

 

Oggi che brilla limpido il tuo sole,

Novello, oggi ti faccio, nel tuo giorno,

I miei auguri, un po’ come Dio vuole.

 

 

Non ama Novello che io aggiunga la prosa a corredo della poesia, come già fece il buon Dante nella Vita Nuova: sostiene che è un di più, che guasta in qualche modo la limpida purezza della poesia. D’accordo con lui, come sempre; peccato, però, che i miei restanti ventiquattro lettori siano d’opinione totalmente opposta, se è vero che la trovano un degno complemento al ritmo dei versi e «alla mesta armonia che li governa», per citare uno dei suoi autori. Suoi di Novello, ovviamente, anche se il suo preferito resta sempre e solo il conte Leopardi. Anche a me stanno molto a cuore Foscolo e Leopardi, intendiamoci; ma Pascoli alle volte mi comunica di più.

Queste sue preferenze le ha sempre propalate coram populo , ex cathedra, già al liceo, al magnifico Minghetti di Bologna. Lo conobbi lì: era mio esimio professore di lettere. Forse esimio non gli piacerà molto, ma tanto so che non leggerà queste mie poche righe e godo quindi della più ampia parresia. E poi, come sempre ripeto, bisogna temere non quel che dico, bensì quel che non dico. Il resto sono chiacchiere da bar, così soavi e rilassanti. Si impara molto dal nulla altrui, come gli altri imparano dal nulla nostro. Reciprocità, forse, o semplice eterogenesi dei fini. Di solito, chi la spara più grossa ha il maggior credito: è una legge di natura.

In tal modo il rito degli auguri è stato espletato. A metà luglio non riesco a fare di meglio. E si badi che è proprio la metà esatta, perché il mese è di trentun giorni. Probabilmente Novello non ci ha mai fatto caso. Io sì, perché anche gennaio è messo allo stesso modo, con me  che compio gli anni il 16. Coincidenze, se esistono, trappole montaliane per i meno attenti in fondo all’aula. Succede, per l’amor di Dio: cadere nel punto morto dell’universo non fa piacere a nessuno. Domani ci si attrezzerà. Intanto, faccio ancora i miei migliori auguri a Novello.

 

 

© Federico Cinti

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Arco temporale

 

Cade una freccia: calendario mio,

Il giorno è giunto. L’arco temporale

Annulla ogni distanza. In questo invio

Odierno tutto torna a essere uguale.

 

Mi sa che non la penso solo io

In questo modo. Certo, poco male.

Rido di questo lento logorio

In atto: compleanno o funerale?

 

Arcana corsa verso il tutto o il niente,

Miraggio d’infinito. Nel bersaglio

Mi ritrovo. La Musa mi consente

 

Un poco d’ironia. Gli auguri a raglio

Si confanno a un poeta a luci spente.

Auguri. Adesso incocco, se non sbaglio.

 

 

Me lo ha chiesto lei, Miriam, non sapendo forse a che cosa andasse incontro, di scriverle qualche cosa per questa ricorrenza. O forse sì. Gli auguri di compleanno ormai stanno diventando una faccenda tremendamente seria. Oppure faceta, a seconda dei casi. Ecco, un genere letterario molto duttile che permette di dire in modo simpatico uno scorcio di verità. Come amo ripetere, occorre temere non ciò che dico, bensì ciò che non dico. L’ironia è davvero un’arma per intelligenze raffinate: affidiamo il compito di ultimare il ragionamento al destinatario del discorso. E non sempre ne è all’altezza. Ma tant’è: si deve fare e si fa.

Per quel che ne so, Miriam è persona molto ironica e, dote ancor più rara, auto-ironica. Io mi sono preso qualche libertà, lo ammetto, soprattutto riguardo alla sua passione per l’arco. Non dico tanto per le frecce, quando per l’arco, oggetto quasi – sottolineerei quasi – proibito o proibitivo. So che ha iniziato quasi per gioco, quasi per sfida. Poi la passione l’ha travolta e non parla d’altro. Ci sta: ognuno finalizza le proprie energie su quel che l’appaga. Con l’arco non ho mai avuto nulla a che fare e, adesso che so come va a finire, gli sto alla larga.

Le rinnovo gli auguri. Fare centro non è così scontato. Il bersaglio è il premio di pochi, dei più affinati in quest’arte antica. Ma ci possiamo lavorare.

 

 

© Federico Cinti

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Tanti auguri a Giacomo

Giugno termina. In limpide cascate
Il sogno impercettibile distilla
A goccia a goccia. Pallide giornate
Chiamano all’ombra placida. Tranquilla

Ogni vicenda scivola. Ventate
Miti sul cuore, fantasia che brilla
O tremula: s’affaccia in noi l’estate
Vacua. Immagine immobile, favilla

Eterna d’un abbraccio. Vaga il cuore
Nel cielo senza limiti. Lontano
Tra le nuvole bianche lo stupore.

Una festa, un augurio. Piano piano
Ritorna anche per Giacomo il sapore
antico di quel giorno adesso vano.
Di Giacomo potrei elencare una serie interminabile di doti: simpatia, acutezza, erudizione, perfetta forma fisica. Avrei finito? Ovviamente no, ma continuare risulterebbe solo una stucchevole accumulazione retorica. Mi limiterò, allora, a riportare quella che io ritengo la sua più sublime qualità, perché il resto è solo accessorio o almeno a me così pare, che è l’amicizia.
Certo, Giacomo ha l’innato aplomb del professorino, è indubbio; ma che ci si può fare? Un po’ di vezzo non disturba: è come il neo sul volto dell’eterna bellezza sotto la parrucca incipriata. Oh, naturalmente, non ne faccio una questione estetica: è una divagazione sull’uomo e sulle proprie peculiarità. Chi lo conosce può darmi ragione.
O, meglio, potrebbe, se non fosse che ultimamente ci si è visti sempre meno. Male dei nostri giorni, questo, non c’è che dire, e lo chiamano distanziamento. Ci si sarebbe potuti spingere fino a definirlo segregazione, ma poi si vestono gli scomodi panni del complottista. Anche le biblioteche hanno chiuso i loro fragorosi battenti. La polvere la fa da padrona addirittura sui rapporti umani, non diciamo sociali.
Ecco, una cosa che potrei forse azzardare su Giacomo è che nascere il 29 giugno e chiamarsi come Leopardi non deve essere così casuale. Io almeno non la percepisco una casualità. come m’insegnerebbe il nostro professorino, nomina sunt omina. Ed effettivamente per lui è stato buon presagio. Intendiamoci, non per la duplice gobba, avanti e dietro, no, che mi sembra non abbia. dicevo che nel nome si nasconde una parte cospicua di lui. Giacomo, già… ma non sarebbe il caso di fargli gli auguri e basta? E facciamoglieli, allora, questi benedetti auguri di buon compleanno. 

 

 

© Federico Cinti

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Tanti auguri, Lorenzo!

 

Lieve l’azzurro tiepido: l’estate

bussa alle porte. Il tempo della scuola,

un ricordo tra cose ormai passate

senza volgersi indietro. L’ora vola

 

impalpabile. A liquide cascate

il sole si riversa. Una parola

risuona tra altre mille inascoltate,

eco sul punto di morire sola.

 

Incantesimo assorto: la distanza

cade tra la realtà e la fantasia

in questo giorno pieno d’esultanza.

 

Lorenzo s’abbandona all’armonia,

prima di cominciare la vacanza

già velata d’un po’ di nostalgia.

 

 

Un’altra ricorrenza, gioiosa questa volta: un compleanno, quello d’un mio studente, Lorenzo, cui non sottraggo la soddisfazione di scrivere qualche cosa. Intendiamoci, la soddisfazione è pure mia: non voglio negarlo. Anche a me piacerebbe se qualcuno mi dedicasse qualche verso, un paio di righe, un pensiero estemporaneo. Alle volte, difatti, ci penso io, faccio tutto da me e lascio correre le malinconie, soprattutto ora che è finita la scuola. Si aspetta tutto l’anno questo momento e poi, sulla soglia, si avverte un velo di tristezza. Per lo stesso motivo non mi piace uscire all’ultima ora il sabato: sentire che tutto si svuota intorno a me è una sensazione che mi fa un certo effetto.

Eppure, adesso siamo sulla soglia dell’estate: ci prepariamo ad altro, alla vacanza, al tempo libero, alle nostre più recondite passioni. Nulla ci è dato a caso, ma tutto va vissuto per quello che è, senza ossessioni per il passato o per il futuro. Tempo propizio, tempo opportuno, l’antico kairos, questo, in cui tutto si rende possibile, anche l’epifania di «qualche disturbata divinità» (E. Montale, I limoni, 36). Occorre solo essere pronti al «prodigio / che schiude alla divina indifferenza» (E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, 5-6).

In questa infinita azzurrità m’adagio a galleggiare, come a morto, sul fluire dei miei «pensieri / che l’anima schiude / novella» (G. d’Annunzio, La pioggia nel pineto, 26-28), in un’altra fusione panica tra il tutto e il nulla, io «una docile fibra / dell’universo» (G. Ungaretti, I fiumi, 30-31). È questo il tempo delle fate, del ritorno di Titania e di Oberon, del mondo che si specchia nel suo specchio e si ritrova nella sua eterna volontà di non fermarsi al limite, sulla linea di confine che si sfrangia.

Siamo immersi nel tempo, flusso infinito della vita in cui galleggia ciò che non siamo più o che non siamo mai stati. È «la morta gora» (Inf. VIII 31) in cui riemerge ogni nostra ossessione, come sulla barca di flegiàs che non comprende e svolge, nonostante tutto, il suo compito eternamente, se non sappiamo uscire «del pelago» (Inf. I 23) di Ulisse e riappropriarci del bene più prezioso che ci è stato donato. Il tempo, certo, null’altro, noi piccoli segmenti sulla retta infinita dell’eternità, cui siamo vocati.

 

 

© Federico Cinti

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