Un sollievo dell’anima, parola
che non muore nell’eco d’un sospiro
breve. Nell’ansia cupa della scuola
uno sguardo di pace, come giro
di un valzer che travolge, eterna mola
che macina ogni cosa nel respiro
del tempo, nell’oblio che non consola
la memoria. Tra il lucido zaffiro
del cielo a pezzi oltre le case intorno,
oltre i vetri, sui banchi un po’ in dissesto,
l’ora che porta via con sé ogni giorno,
il sorriso dell’essere, del gesto
inconsueto, ma dolce nel ritorno
fugace di un’idea. Carlotta è questo.
Di Carlotta tutto è stato scritto nel sonetto. Non mi profonderò in altri particolari, come forse ella avrebbe desiderato. Erano anni che mi chiedeva un ritratto. Ho ceduto, alla fine, solo perché terminava il liceo, perché dopo la maturità non avrei più sentito quella sua suadentissima voce. Anche perché, questo non lo si può tacere, parla a getto continuo. Non che sia spiacevole, intendiamoci; il fatto è che ogni tanto ci si chiede dove sia il tasto di spegnimento. Per il resto, nulla da aggiungere. Io almeno non aggiungo nulla; poi forse altri potrebbero dire di più e meglio di me, dato che io ne ho una conoscenza che risente del mio particolare angolo prospettico. La paragonavo alle acque della «fonte di Bandusia» di oraziana memoria: so che a lei fa piacere quando scantono per i laterali sentieri della letteratura latina. Certo, anche sulla letteratura tout-Court, ma per quella latina ha un debole. Insomma, quelle loquaces linpahe (carm. III, 13, 15-16) sono come gli zampilli che gorgogliano dalle sue labbra, «acque chiacchierine» come qualcuno ama tradurre.
Ormai ha finito il liceo: diventare centenari ha i suoi pro e i suoi contra. Mi pare che l’abbia presa bene, come una sorta di festa in perenne svolgimento. La vita in fondo va presa così, per quello che è. Il suo, di Carlotta naturalmente, è il modo giusto, serio, ma non serioso. Mancherà qualche cosa adesso al «Leonardo», che tutti si ostinano a chiamare barbaramente «da Vinci». Segno dei tempi, temo. Peccato che il nostro beneamato Comune non abbia una personalità di rilievo scientifico cui dedicare il liceo cittadino. Ovvieremmo almeno allo scempio del nome. Ecco, magari qualche mio studente o studentessa meritevole prima o poi si troverà. Peccato che Carlotta abbia tutt’altri progetti. Il più sarebbe capire quali, ma magari lo racconteremo poi, quando si saranno sciolte le riserve.
Per il momento mi accontenterei di un caffè: lei ne è una notevole estimatrice, soprattutto nelle mie ore. Mi auguro che non dipenda dal fatto che sia colpa mia, ma è sincera, molto sincera, e non me lo ha mai confessato apertamente. O forse non l’ho mai sentito io, tutto preso come sono di solito a seguire i miei autori. Mi sembra d’essere sempre in ottima compagnia, quando leggo poeti e romanzieri, ma non capisco se i miei studenti condividano questa mia insana passione. Carlotta mi ha dato raramente ragione e sono stati momenti di notevole ascesa lirica.
Oggi tuttavia è il suo compleanno e io mi sento l’obbligo di farle gli auguri. Non le ho scritto un testo ex novo, come faccio solitamente; piuttosto, ho preso quello che le avevo dedicato per la fine della scuola, in un mio libretto intitolato Saluti elementari, perché avevo associato a ogni studente un elemento della tavola periodica. A lei avevo associato il mercurio. Non me ne ha mai chiesto il motivo e io ne ho scordato le ragioni. Chissà, prima o poi mi tornerà in mente. Ora è il tempo degli auguri, non delle divagazioni da officina delle Muse, e allora auguri siano, Carlottina.
© Federico Cinti
Tutti i diritti riservati