«Azzurro il cielo, azzurre le montagne,
ma più di tutto quanto azzurro è il mare»;
E Itaca, cui il sole fa corona,
dalle onde azzurre adesso mi saluta.
Già il Grifone mi porta via lontano
dal rosso intenso della tua scogliera;
e mi accompagna sempre il tuo profumo,
in altre isole ignoto, solo tuo.
In un soffio sfuggisti alla mia vista
nascosta da altre isole dintorno;
eppure, nel profondo del mio cuore
s’impresse la tua immagine di sole.
Così voglio portarmela con cura
nel freddo Nord lontano, via lontano.
Tu, nei nevosi giorni deprimenti,
col sole sii il conforto del mio cuore.
Nulla vale il silenzio d’un addio. Sisi lo sapeva bene, nel suo instancabile vagabondaggio di gabbiano senza patria, senza nido. In questo giorno di vigilia natalizia, in questo 24 dicembre, in cui avrebbe spesso preferito celebrare il suo compleanno lontano dai fastigi della corte viennese e dal suo rigido cerimoniale spagnolo, provo a renderle un piccolo omaggio. un’ulisside anch’ella, in perenne fuga da se stessa e dal mondo, sospinta altrove, sempre altrove: il senso del viaggio, lo sapeva bene, è nel viaggio stesso, non nella meta. Per lei valeva il sogno, non la sua realizzazione. Andare, tutto qui: questo contava per lei e questo fece da un certo punto della sua vita in poi, quando tutto cominciò a pesarle, da cui la lirica da me tradotta èpresa. Anch’ella, come il figlio di Laerte, «baciò quella petrosa Itaca» (U. foscolo, A Zainto, 12), ma senza fare ritorno ad alcun luogo.
Amò il distacco, l’abbandono, il nascondimento. Tutto sfioriva all’ombra dei ricordi, colori, odori, sensazioni, per rinascere ed eternarsi in poesie d’una struggente malinconia. Alle spalle si lasciava un’isola e assieme a essa tutto l’universo. Un suono, una carezza, l’azzurro del mare, il rosso della scogliera, l’oro del sole, tutto diveniva un crogiuolo d’indefinibile nettezza. In quell’addio la consolazione in un tempo di gelo e inerzia. Con un animo tale compose i Winterlieder, i Canti d’inverno, il secondo libro del suo Poetische Tagebuch. Con un animo tale guardò l’ultima volta Itaca, rossa nelle sue scogliere, uscire dall’azzurro del cielo, dei monti, del mare.
Anche per lei fu così, un’altra volta, eternamente, «che dolci sogni mi spirò la vista / di quel lontano mar, quei monti azzurri / che di qua scopro, e che varcare un giorno / io mi pensava» (G. Leopardi, Ricordanze, 21-24), anche se quelle montagne, «dopo varcate, / sì grande spazio di su voi non pare, / che maggior prima non lo invidïate» (G. Pascoli, Alexandros, II 16-18). Nulla sarà di ciò che non è stato: il sogno vive di per sé, comunque, oltre la linea tremula del mare. questa, forse, la consolazione nei giorni candidi di neve, nell’inerzia cristallina del non essere o de non essere più. questo, forse, l’addio, l’ultimo addio dal mito per entrare nella storia.
Per i cultori della lingua tedesca riporto, more solito, l’originale, perché il significante restituisca all’orecchio la sostanza fonica che nella resa si è talvolta plasticamente mutata in altro suono, in altra voce, in altro sguardo. Il mio sguardo, la mia voce, il mio suono, distanti nel tempo e nello spazio, ma non nel cuore, ancora su quel panfilo, su quel Grifone o Grief che solcava silente il Mediterraneo. Così di nuovo, «per correr miglior acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno» (Purg. I 1-2), verso un’altra isola, verso un’altra poesia.
Abschied von Ithaka.
«Blau ist die Luft, blau sind die Berge,
Am blausten aber ist das Meer»;
Und Ithaka, die sonnbekränzte,
Winkt aus den blauen Wellen her.
Schon trägt der Greif mich weit und weiter
Von deinem roten Felsgestad;
Und immer noch ist mein Begleiter
Der Duft, den nur dein Eiland hat.
Bald bist du meinem Blick entschwunden,
Durch neue Inselreih’n verdeckt;
Doch tief in meinem Herzen unten
Hat sich dein sonnig Bild versteckt.
So will ich’s sorgsam weiter tragen
Weit in den kalten Norden fort.
Sei dann in schneebedrückten Tagen
Mein Herzenssonnentrost auch dort!
© Federico Cinti
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