Un giorno strano,
questo. Mi pesa
sul cuore. Un vano
senso d’attesa
stringe, ma invano,
fuga sospesa,
non qui, lontano.
La mente arresa
sogna una vita
migliore altrove:
cerca, smarrita
tra cose nuove,
la via d’uscita,
ma non sa dove.
Nel sole languido di questo inizio giugno il vago smarrimento per la via non definita, incolore, quasi sospesa. Tutto sembra passare nell’inerzia dell’ora, sotto un cielo cinerino. Anch’io passo così, trascorro e trascoloro: è lo spleen della Croce, quella terra in bilico tra ciò che non è e ciò che non è ancora, ultima linea di confine. La mia dimensione, non c’è che dire, tra ciò che fui e che forse sarò, dinamismo di un fragile punto sulla retta dell’infinito. Mi guardo e non mi vedo, privilegio di pochi sentirsi vivere.
Mi ci ritrovo e non so più se sia io fatto per questi luoghi o questi luoghi per me. Nulla è mai invano, nulla è mai a caso, anche se si fatica a volte a trovare il bandolo. Eppure, le rondini ritrovano sempre la via del ritorno, ricompongono sempre il loro nido. Anch’io sotto il tetto cerco l’angolo più riposto in cui nascondere il sogno più vero. Tornerà il sole limpido della primavera. Nell’oppressione di questo grigio appoggio anch’io la mia anima alla «balaustrata di brezza» (G. Ungaretti, Stasera, 1). Equilibrio precario quello che s’ottiene sulla soglia dell’essere. Il tempo si contorce in un ghirigoro sonoro, sperso chissà dove per l’aria. Non è follia volare oltre il margine estremo dell’infinito.
In questa smarrita sospensione tutto si fa finalmente possibile. la ricerca non è stata vana. Veramente l’attesa attinge la felicità più di qualsiasi realizzazione sognata. S’aspetta la «festa / ch’anco tardi a venir, non ci sia grave» (G. Leopardi, Il sabato del villaggio, 49-50). Si è qui, si resta appesi a un fil di sole che ci solleva oltre l’azzurro limpido del cielo. E l’anima s’allaga, smarrita e ritrovata in un unico punto. Ecco, quindi, che cosa ci tocca in dono in questo giorno d’eterna malinconia.
© Federico Cinti
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