Di fine agosto, premio speciale del presidente

 

 

Con grande piacere apprendo oggi di essere stato insignito del «Premio speciale del Presidente» alla III edizione del premio letterario «Dino Sarti» per la poesia Di fine agosto, indetto in seno al al Centro Foscherara di Bologna. Ringrazio di cuore Sante Serra dell’attenzione riservata a questi miei versi.

 

 

Obliquo il sole stanco nel meriggio

sapeva già d’autunno, declinando

tra le strade deserte. Nel silenzio

il senso vano di una vita amica.

 

Eri al cancello. Dritta nell’attendermi

gettavi un’ombra di malinconia

sui quattro sassi e l’erba. In un pulviscolo

dorato si spandeva il tuo profumo.

 

Salimmo. In cielo qualche lieve nuvola

per l’azzurro, sui tetti, tra le case

squadrate e l’orizzonte. Tra le ciglia

socchiuse un dolce abbraccio di penombra.

 

Moriva agosto. Sull’estate tremule

lacrimavano in coro le cicale.

Non te lo dissi allora, ma eri splendida.

Già lo sapevi. In quell’istante vano

 

era ogni dire, ogni discorso inutile

profanazione. Il tempo s’annullava

in un istante eterno. Sogno, immagine,

realtà, tutto si fonde nel ricordo.

 

Esile il tuo sorridere. Nell’anima

è come il mormorio nella conchiglia

che torna all’infinito fino a perdersi

dentro un sussurro. Nulla si cancella.

 

Dolce fu stare lì. Nei brevi battiti

d’una lancetta il tempo fuggì via.

Avevo addosso il tuo profumo, languida

vertigine così consolatrice.

 

Poi la soglia sconnessa, il lento stridere

del cancello, il lunghissimo saluto.

Non so se te lo dissi che eri splendida,

ma lo sapevi già. Voltai le spalle.

 

Moriva allora agosto. Nell’immobile

vacuità di quel giorno il nome caro

di quelle case, dei palazzi, il Fossolo,

varco all’eterno, dove ha casa il cuore,

 

mi restò dentro. E mi rimane, pallido

volto di un giorno. Ancora mille e mille

ci attendevano e attendono, miracolo

che si perpetua, favola d’amore.

 

 

Di seguito la motivazione del premio speciale del Presidente:

Un tardo pomeriggio di agosto avvolge il quartiere della immediata periferia  bolognese e accende l’animo del Poeta, gli restituisce l’eco di ricordi, di immagini care, famigliari e lontane, profumate, sospese in atmosfera sognante.

Citando il Poeta «Sogno, immagine, realtà”, tutto si fonde nel ricordo».

Nella seconda parte della soave e pregevole lirica, i versi si fanno più intimi ed meditativi, rivolti alla propria anima e allo stupore per quei luoghi «dove ha casa il cuore» dominati dai ricordi che sembrano inseguire le parabole inquiete della mente.

 

Sante Serra

 

Bologna, 10 luglio 2020

 

 

Ricordo dell’estate in declino sul finire d’agosto, quando già tutto sa d’autunno: l’incontro nella città ancora assorta nel pallido meriggio obliquo. Null’altro intorno se non ombre che s’inseguono sulla via della felicità. La cupola azzurra del cielo adagiata su ogni cosa, anche su di noi. Lontane le Torri, laggiù, testimoni di ciò che eravamo. Nel palazzo di fronte aveva abitato Dino Sarti, antico presagio.

 

 

© Federico Cinti

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Rosa rosae

 

Ti ricordi quel piovere?
Anche ieri pioveva. In quel prodigio
la tua presenza eterea,
così consolatrice, così unica.

 

Un alone di grazia
ti circondava, simile a una nebbia
aurea. Un sorriso tenue
dietro quel velo timido, impalpabile.

 

Dopo, un pallido raggio,
filo sull’infinito a cui appendersi
ancora per non perdersi
mai più, rosa dolcissima di maggio.

 

 

Ha un che di malinconico la pioggia. Non so perché, ma ne avverto tutto il fascino, come se mi si impregnasse nell’anima. Chissà, anche a te piace, memoria ancestrale di un giorno lontano. Anche a te dico, piccola rosa di maggio, dal soave profumo inafferrabile. Mi sento addosso il suo fascino, un’ebbrezza estatica, come il sorriso del crepuscolo che muore, come canta il poeta «M’è lontano dalle ricciute chiome, quanto il sole; sì, ma mi giunge al cuore, / come il sole: bello, ma bello come / sole che muore» (G. Pascoli, solon, 49-53).

Ecco, forse è quel senso di precarietà a renderla così suggestiva, così fuggevole, proprio come la tua bellezza effimera, rosa, sempre sul punto di sfiorire. Vana consapevolezza, questa, di camminare su una sottile ombra, in bilico tra il tutto e il nulla.

Era madreperla il cielo pure quel giorno, anche se tu non ricorderai, quel giorno in cui ti vidi per la prima volta. Pioveva. Sembrava non dovesse finire mai. Noi lì sotto ad attendere, sotto un piccolo ombrello in attesa dell’asciutto. E pioveva anche quando ti ho rivisto, eterno fiore di maggio, quando spandevi il tuo soave profumo tutto intorno, pochi giorni or sono.

Hai un che di malinconico, sai, rosa? Non a caso ti studiamo declinare a poco a poco, fin da ragazzi, quando impariamo a parlare una lingua immortale, la tua lingua. Perché in te, lo sappiamo, c’è la bellezza vera, rosa di maggio, rosa che non dici se non la verità delle cose e di noi: «rosa della grammatica latina / che forse odori ancor nel mio pensiero / tu sei come l’immagine del vero / alterata dal vetro che s’incrina» (M. Moretti, Elogio di una rosa, 1-4). Ti ho cercata, senza mai smettere di sperare, e infine ti ho trovata. Tu sei così speciale. Non so dirti il perché: non c’è un perché. La tua essenza è la bellezza nella caducità. Forse questo è l’amore, è l’attimo che si fa eterno, mentre distilla l’anima tra il fluire che diluvia e salva.

Ora che ti ho trovato, rosa, credimi, non ti lascio più. 

 

 

© Federico Cinti

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